Ridley Scott dirige un ricco cast, tra cui Christopher Plummer, Michelle Williams e Mark Wahlberg, in Tutti i soldi del mondo
“I soldi comprano la felicità? Quasi mai, ma offrono senz’altro la soluzione più veloce e sicura ai problemi della vita”.
Nel 1973 il rapimento a mano della ‘ndrangheta e nel cuore di Roma dell’allora adolescente Paul Getty III (Charlie Plummer), nipote prediletto del magnate del petrolio Jean Paul Getty (Christopher Plummer) e al tempo uomo più ricco del mondo, divenne un caso di cronaca internazionale che smosse l’opinione pubblica e mise al centro della scena il dibattito sul valore dei soldi in confronto a quello degli affetti. Sì, perché il ricchissimo e avidissimo Getty, vero e proprio Scrooge dei tempi moderni, di fronte al rapimento del nipote adorato e alla richiesta di un più che corposo riscatto (in ogni caso più che accessibile alle sue tasche) si mostrerà assai restio a metter mano al portafoglio nonostante in gioco ci sia la possibilità di riavere a casa sano e salvo il sangue del proprio sangue. L’afflizione e la pena di dover in qualche modo mettere insieme l’ingente somma chiesta dai rapitori ricadrà dunque tutta sulle spalle della madre del ragazzo Gail (interpretata da una intensa Michelle Williams), e dell’uomo fidato della sicurezza di Getty, ovvero Fletcher Chase (Mark Wahlberg), ingaggiato da Getty proprio al fine di trovare una soluzione alternativa e più ‘economica’ al rapimento del nipote.
“Un uomo ricco non è altro che un pover’uomo coi soldi”. WC Fields
Uno di primi ‘attesi’ film del 2018 a fare capolino nelle sale, Tutti i soldi del mondo esce al cinema preceduto dalla lunga scia di polemiche che ne hanno accompagnato la realizzazione, visto che l’oramai artisticamente defunto Kevin Spacey che aveva già girato per intero il film, è stato successivamente rimpiazzato nella parte di Getty da Christopher Plummer, a seguito dello scandalo molestie abbattutosi su di lui e su molti nomi noti dello star system – hollywoodiano e non.
Venticinquesimo film all’attivo per Ridley Scott, Tutti i soldi del mondo rivendica dunque la sua origine nel fatto di cronaca realmente accaduto (basato sul libro di John Pearson e adattato per il cinema da David Scarpa), discostandosi poi dai fatti reali (come viene specificato anche nei titoli di coda) per fini puramente narrativi. Scott riproduce gli elementi relativi al rapimento, alla richiesta di riscatto, al background socio economico della famiglia del ragazzo, per concentrarsi poi sul vero cuore del film, ovvero la ‘guerra di valori’ tra la volitiva Gail e l’inflessibile magnate e suo ex suocero John Paul Getty. Delle due ore e dieci di film, però, molti degli elementi inseriti a compendio e nel quadro d’insieme risultano quasi superflui o mal associati (non eccelle qui nemmeno l’uso un po’ troppo frenetico dei piani temporali alternati), mentre la parte ‘italiana’ e del rapimento appare piuttosto imprecisa e anche poco incisiva su un piano prettamente recitativo (in questo senso, il fatto di aver visionato il film doppiato di certo non ha giovato), e dove il migliore risulta senza dubbio, anche se con più di un problema di ‘accenti’, il Cinquanta interpretato dall’attore francese Romain Duris, unico tra i rapitori a incarnare un profilo più umano, e in grado di provare pietas nei confronti del ragazzo rapito.
D’altro canto, lo “scroogiano” Getty diviso tra l’ossessione per il denaro e quello per le cose belle di cui si può circondare e di fronte alle quali può commuoversi (quadri e opere di inestimabile valore) grazie alla massiccia presenza del primo, resta forse la parte più interessante e meglio caratterizzata dell’intero film. Un dibattito che vede la vulnerabilità dell’essere umano e dei suoi affetti contrapporsi alla stabilità delle cose e al loro restare inalterate, o quasi, nel tempo. Il Getty di Plummer incarna i ghigni e la boria dell’uomo che ha immerso nei propri soldi e nei propri averi tutta la propria fonte di autostima e di potere, ed è per questo motivo fermamente contrario a separarsene, quale che sia la posta in gioco. Un confronto serrato tra l’uomo e sé stesso, alimentato dalle sue convinzioni di milionario e messo in discussione, forse in extremis anche redento, dalla leva (seppure lieve) generata dagli affetti assieme alla proiezione di un cognome di prestigio che ai suoi occhi perde ‘forza’. Proprio per questo motivo l’evoluzione degli eventi fa sì che Tutti i soldi del mondo assuma con il passare dei minuti sempre più le fattezze di un Canto di Natale sui generis, dove il viaggio catartico e con gli spiriti scaturisce dall’evento del rapimento e la richiesta di aiuto da parte della famiglia, mentre la redenzione finale trova la strada nella paura di Fine che si prospetta dinanzi all’uomo così come al prestigio pericolante del suo nome.
Infine, un’opera che si lascia guardare (senz’altro meglio se in versione originale), ma che appare nel complesso un po’ troppo priva di slancio, senza infamia ma pure senza lode. Forse un po’ poco se si considera il nome del regista, il suo indiscusso talento, e le tante – forse troppe - aspettative generatesi attorno a un film che passerà senz’altro alla storia più per le ‘cronache’ a esso legate che non per le sue qualità effettive.