Quo vado?

Un angelo custode non abbandona mai i posti fissi?

Dopo Cado dalle nubi (2009), Che bella giornata (2010) e Sole a catinelle (2013), abbiamo immediatamente in scena il comico pugliese Checco Zalone (all’anagrafe Luca Medici) in mezzo ad una tribù di indigeni dell’Africa; prima ancora di passare ad un flashback in cui lo vediamo bambino ma già afflitto dalla mentalità da impiego pubblico e che finisca in preda a situazioni fantozziane tempestate di grottesche file al bar con i colleghi, sfruttamento di cartellini già timbrati e, soprattutto, tragica conclusione di quello che sembrava da tempo il sogno della sua vita ormai realizzatosi: il posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca.

Infatti, quando il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province, il buon vecchio Checco viene convocato al ministero da una spietata dirigente con le fattezze della Sonia Bergamasco de La meglio gioventù (2003), la quale, intenta a fargli lasciare il lavoro che non vuole assolutamente mollare, lo trasferisce continuamente in giro per la penisola a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi.

Fino al giorno in cui, esausta, rincara la dose inviandolo in una base scientifica al Polo Nord, dove incontra una ricercatrice incarnata da Eleonora Giovanardi e intenta disperatamente a salvare gli animali in estinzione, proprio come il famigerato posto fisso diffusosi negli anni Sessanta.

Perché, con immancabile evoluzione zaloniana che prevede l’innamoramento del protagonista – anche co-sceneggiatore del film insieme al regista Gennaro Nunziante – nei confronti della donna, è proprio alla Commedia all’italiana risalente a quel periodo e al decennio successivo che si guarda qui in maniera evidente per concretizzare su celluloide il racconto di un tempo in bilico tra certezza e incertezza; tanto più che la esilarante La prima repubblica inclusa nella colonna sonora si rifà esplicitamente ai pezzi dell’Adriano Celentano di allora e che, nei panni di un senatore, troviamo il Lino Banfi che ne fu uno dei volti simbolo.

Quindi, tra un incontro molto ravvicinato con un orso polare, immancabili frecciatine ai milanesi, comportamento grottescamente civile dei norvegesi paragonato a quello altamente incivile degli abitanti dello stivale tricolore ed Al Bano e Romina che cantano Felicità e Nostalgia canaglia, ancor più che nelle tre precedenti pellicole risulta chiaro che il Golden boy del cinema nostrano d’inizio terzo millennio altro non sia che l’italiano del Boom catapultato in maniera spesso geniale nelle situazioni e problematiche della società odierna.

Italiano a suo tempo rappresentato dai vari Alberto Sordi e Nino Manfredi e che, in questo caso corredato di accento barese ed avente per genitori Maurizio Micheli e Ludovica Modugno, proprio come all’epoca si rivela efficace strumento umano di critica a tutto e tutti.

Regalando non poche occasioni per ridere, ma senza dimenticare di ribadire che cominciamo ad apprezzare il valore delle cose quando le perdiamo e, soprattutto, che, a dispetto dell’egoismo spesso derivante dalla sicurezza tipica di molti statali, non è affatto male aiutare gli altri.