Questi giorni
L’adolescenza e quel tempo che sa di infinto. Tantissimi, a oggi, i film che hanno adottato questo accostamento per parlare di ragazzi, avventure, speranze e prospettive in un momento della vita che sembra rigenerarsi in continuazione, e non dover finire mai. Noi siamo infinito, come titolava anche l’ottimo film di Stephen Chbosky architettato proprio attorno a quello sguardo oltre l’orizzonte che si materializza fino all’attimo prima dell’avvento dell’età adulta.
Il nostrano Giuseppe Piccioni (Luce dei miei occhi, Giulia non esce la sera, Il rosso e il blu) presenta in concorso al Festival di Venezia 73 il terzo e ultimo film italiano della categoria principale. Si tratta di Questi giorni. La storia è quella di quattro storiche amiche unite da un legame profondo e all’improvviso divise da strade che iniziano a prendere percorsi individuali, modificando quel per sempre e sempre insieme di poco prima per via delle problematiche, inclinazioni, opportunità personali che ognuna di loro incontrerà. E se Liliana nasconde un segreto molto importante, e la vita di Anna sta per subire un profondo cambiamento, mentre quella di Angela sembra invece soffrire di una profonda stasi, sarà il viaggio di Caterina vero l’opportunità di un lavoro a Belgrado a riunire le quattro ragazze in un on the road ai confini della loro adolescenza.
Differenze caratteriali e il profilo di percorsi diversi segneranno poi il tragitto formale di un coming of age costellato da una serie di accettazioni, rivelazioni e rivoluzioni. L’opera di Piccioni ha dalla sua delle buone suggestioni registiche. Una capacità di rintracciare quella sospensione esistenziale in alcuni fermo immagine delle protagoniste, un’idea stilistica tutto sommato interessante e in grado di catturare la cifra emozionale suggerita dal film. Quattro interpreti affiatate (e il supporto al cast di comprimari come Margherita Buy e Filippo Timi) non bastano però a sopperire alle lacune di una scrittura che non trova mai una profondità sufficiente, tendendo anzi a banalizzare il processo di caratterizzazione dei personaggi e delle loro – conseguenti - azioni.
Nel corso di un viaggio contraddistinto da soste e incontri più o meno fortuiti, infatti, Questi giorni tende a perdersi per strada più di una ‘connotazione’ del suo discorso sugli equilibri smarriti di vite ancora tutte in divenire, dando luogo a digressioni e siparietti inutili quando non del tutto fuori luogo (come ad esempio la presenza di Sergio Rubini nei panni del padre di una delle ragazze).
La scrittura – intesa tanto nell’impalcatura di base quanto nella forma specifica dei dialoghi - è dunque la vera nota dolente dell’opera di Piccioni, l’ostacolo strutturale che impedisce al film di centrare il proprio registro. Un’occasione su più livelli sprecata per un film che – con una maggior cura ‘comunicativa’ - avrebbe dato un valore aggiunto al carattere ‘artistico’ dell’opera e alla spontaneità delle giovani interpreti. Due elementi, questi, che avrebbero potuto supportare la riflessione sul cambiamento insito nell’età di cui si narra, e poi racchiuso nella frase finale: “Questi giorni non è successo niente, ma è cambiato tutto”.