Quando hai 17 anni

André Téchiné e il suo viaggio intorno a un’idea, a un rito di passaggio chiamato adolescenza. Questo in sintesi il progetto perseguito dal regista francese in Quando hai 17 anni, film presentato in concorso alla 66° edizione del Festival di Berlino. L’autore di Les roseaux sauvages torna a catturare il più brusco e stupefacente processo di trasformazione che possa capitare nel corso della vita, fatto di sbalzi violenti, slanci tarpati e scenari ai confini dell’infanzia. E, all’orizzonte, si palesano le prime avvisaglie di quel vicolo cieco che è l’età matura. Ma, la visione di Téchiné non è affatto pessimista, imperlata di una luce di concreta fiducia nell’instaurare un punto di ancoraggio alla base dei rapporti umani.

Insieme a Céline Sciamma, apprezzata regista di Tomboy e Diamante nero, Téchiné imbastisce una storia che si snoda lungo l’arco di tre trimestri scolastici. Qui lo stato d’animo dei personaggi trova una logica e naturale corrispondenza di stampo “sentimentale” con il paesaggio montano dell'Ariège, fotografato al massimo della profondità. È necessario il lento e progressivo mutare delle stagioni affinché quella che a prima vista potrebbe essere scambiata per reciproca antipatia, si trasfiguri in un inarticolato desiderio di contatto tra due corpi. In Quando hai 17 anni sono tante le parole non dette tra Damien e Thomas, sopperite da sguardi di sfida che parlano da soli in un film “corporizzato” dalla continua contrapposizione tra pulsione e rinuncia. Il coraggio di parlarsi a viso aperto manca o vacilla all’inizio, in quanto entrambi i ragazzi sono schiacciati dal peso delle reciproche situazioni familiari: l’uno da un modello genitoriale intoccabile nella sua perfezione, l’altro (figlio adottivo di origine maghrebina) dal vedersi come “seconda scelta” di una coppia impossibilitata a procreare.

Il merito principale di quest’opera è senza ombra di dubbio la stratificazione del desiderio che emerge dal discorso complessivo, sebbene appaia un po’ troppo sistematizzante nel finale. Senza l’ottima prova dei due giovani interpreti Corentin Fila e Kacey Mottet Klein, il film non avrebbe forse raggiunto quello statuto di veridicità necessario, specie nella sequenza hot che li vede coinvolti. Proprio quest’attendibilità è messa a rischio dalla figura della madre di Damien: la dottoressa Marianne Delille. Questo non perché Sandrine Kiberlain non sia all’altezza del ruolo assegnatole, anzi; piuttosto, il problema è da rintracciarsi proprio sulla carta, a livello di sceneggiatura. La sfida sarebbe trovare nella realtà di tutti i santi giorni una donna come lei: pragmatica, comprensiva e generosa, magnanima a tal punto da aprire la sua casa a un perfetto sconosciuto, che il giorno prima ha preso a pugni il figlio senza alcun apparente motivo. Insomma, una sfida persa per metà, a cui comunque non resta che aggrapparsi per l’intera durata del film, spinti dal movimento aggregante delle immagini affettive evocate da Téchiné.