Poveri ma ricchissimi, non è un paese per Tucci
Un veloce riassunto durante i titoli di testa provvede a rinfrescarci la memoria su chi siano i Tucci, ovvero il simpaticamente grottesco e modesto nucleo familiare di un paesino del Lazio che, in seguito all’inaspettata vincita di cento milioni di euro, decideva in Poveri ma ricchi di mantenere segreta la notizia e di fuggire in un lussuosissimo hotel di Milano per evitare di essere perseguitato da sedicenti amici e conoscenti. Il Poveri ma ricchi che si rifece alla commedia francese Les Tuche, diretta nel 2011 dallo stesso Olivier Baroux che ne ha poi curato cinque anni più tardi il sequel Les Tuche 2 – Le rêve américain, e che portò la firma dello stesso Fausto Brizzi cui si deve questa continuazione datata 2017.
Continuazione in cui, intuito che l’ostentazione del lusso non basti più e che la vera svolta può essere rappresentata solo dal potere, papà Christian De Sica decide di indire un referendum che permetta alla minuscola località dove vivono di uscire dall’Italia, dichiararsi Principato indipendente e proporre nuove leggi. Quindi, man mano che la sua grottesca capigliatura riccia e bionda proto Rudi-Völler viene mutata in una pettinatura sullo stile di quella sfoggiata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, non sono certo frecciatine rivolte all’universo politico tricolore a risultare assenti nel corso della oltre ora e mezza di visione, destinata anche a tirare in ballo una sorta di parodia del chiacchieratissimo Cinquanta sfumature di grigio.
Perché, mentre la moglie Lucia Ocone subisce la corte di un misterioso sconosciuto dalle fattezze di Massimo Ciavarro e il cognato Enrico Brignano – in attesa della nascita dell’imminente figlio dalla consorte Lodovica Comello – porta in casa il suocero pregiudicato Paolo Rossi, milanese appena uscito di prigione che odia i romani, sono riferimenti e situazioni tipici della cinematografia a stelle e strisce a caratterizzare parte della sceneggiatura, concepita dal regista stesso insieme a Marco Martani e Luca Vecchi. Riferimenti che vanno dal costume della Malefica disneyana al balletto cantato proto-La La Land posto durante i titoli di coda; passando per una divertente gag con travestimento da Babbo Natale annesso.
Senza contare un imprevisto con due criminali russi, che va ad incrementare ulteriormente la sequela di sketch atti, in fin dei conti, a strutturare un Poveri ma ricchissimi disturbato, inoltre, da una Tess Masazza che afferma di essere una figlia di cui il protagonista non era a conoscenza.
Sequela di gag che, con Ubaldo Pantani, Anna Mazzamauro e i giovanissimi Giulio Bartolomei e Federica Lucaferri ancora nel cast, garantiscono sicuramente un piacevole spettacolo ricco di occasioni per ridere orchestrate in particolar modo tra doppi sensi ed equivoci verbali... ma con meno efficacia per quanto riguarda la critica agli arricchiti da Commedia all’italiana che aveva caratterizzato il sopra menzionato, leggermente più riuscito primo capitolo.