Pieces of a woman: l'intensa pellicola con Vanessa Kirby e Shia LaBeouf in odore di Oscar
Presentato in Concorso alla 77esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia – dove si è aggiudicato la Coppa Volpi per la Miglior interpretazione femminile, Pieces of a woman sbarca su Netflix il 7 gennaio 2021. Tra i produttori, Martin Scorsese.
Martha (Vanessa Kirby) e Sean (Shia LaBeouf) sono una giovane coppia in procinto di avere una bambina. I due hanno scelto il parto in casa, ma all'arrivo delle doglie la loro ostetrica è impegnata altrove. Ad aiutarli durante il delicato momento viene mandata Eva (Molly Parker). Dopo un iniziale diffidenza, i tre iniziano a collaborare affinché tutto vada come previsto. Ma ovviamente non sarà così.
Con un piano sequenza lungo quasi mezz'ora, durante il quale viene fornito il fulcro attorno a cui la storia ruoterà, il film impatta in maniera potente e diretta con il suo pubblico. Sebbene non si trovi esattamente in apertura, poiché era forse necessario introdurre prima i personaggi principali, l'escamotage è fondamentale ai fini dell'immedesimazione. Ma non solo, ad esso si deve la creazione di un'atmosfera densa e stratificata, che aleggerà per tutto il corso della pellicola. Qui e lì vi sono inoltre disseminati elementi utili a una simbologia degli affetti e degli effetti, assolutamente pregevole.
Pieces of a woman è un'opera d'arte. Dal punto di vista della scrittura: senza sbavature, schietta, implacabile, devastante. A livello stilistico: asciutto, privo di fronzoli o sentimentalismi, ma attento ai dettagli e con un ammiccamento al cinema francese. Con una coppia di attori al massimo delle loro potenzialità, completamente e carnalmente al servizio del progetto.
Emerso con il sorprendente White God – Sinfonia per Hagen – miglior film Un Certain Regard al Festival di Cannes 2014 – Kornél Mundruczó ci regala una storia e dei personaggi indelebili. Alla sua prima prova con un film in lingua inglese, il cineasta ungherese si affida ancora alla compagna sceneggiatrice Kàta Weber, per affiancarlo nel confezionare uno dei migliori titoli degli ultimi anni. La bravura di questo duo artistico consiste non tanto nel raccontare una vicenda che sia originale, quanto nell'impregnarla di un realismo e di una visceralità che si attaccano addosso e non se ne vanno più. Ma una simile autenticità non poteva che provenire da un proprio, personale, doloroso e condiviso trascorso. E la pellicola diventa quasi una possibilità catartica.
I protagonisti percorrono un tragitto, che li porta da un iniziale momento di euforia totale al punto più basso della loro intera esistenza. E lo fanno sotto lo sguardo imparziale ma avvolgente della macchina da presa. A tratti si percepisce una sorta di personificazione, come se qualcuno li seguisse da vicino, magari per assicurarsi che ritrovino la via, ed è automatico pensare a quella figlia venuta al mondo per una frazione infinitesimale di tempo.
Lo spettatore è chiamato ad assistere, ritrovandosi suo malgrado a prenderne atto, a parteciparvi, in qualche modo, addirittura, a parteggiare. Eppure non è una gara, non lo è da nessun punto la si osservi. Martha e Sean combattono il dolore, ciascuno alla sua maniera, che non è né giusta né sbagliata, ma semplicemente propria. Gli ostacoli sono tanti, alcuni insormontabili. La coppia si trascina per mesi, perdendo dietro di sé tutto il bello che la univa e intaccandolo forse irrimediabilmente.
La perdita è senza dubbio il filo conduttore di Pieces of a woman, indagata nelle sue sfumature e nelle conseguenze. La donna del titolo è a pezzi. Chiunque sembra cercare di imporle una visione che non è la sua, indirizzarla verso scelte, decisioni, accuse che non sono mai uscite dalla sua bocca, figurarsi dalla sua testa. Il motivo è semplice: il lutto fa fare e dire cose altrimenti estranee al proprio essere. La sua elaborazione mette in moto una serie di passaggi, che possono rivelarsi snodi cruciali o sabbie mobili. Non sapendo in anticipo di quali si tratti, è necessario affrontarli tutti. Con la speranza che torni la luce, e con essa la vita – in tal senso il finale è di una potenza e di una bellezza sconvolgenti.
In odore di Oscar (e sarebbero strameritati!), la Kirby e LaBeouf fanno un lavoro eccezionale, prettamente in sottrazione, lasciando che siano gli occhi o i singhiozzi a parlare. Un'ultima personale e azzardata considerazione, li vede quali incarnazioni di due elementi chiave della storia, ossia la mela e il ponte: lei per la sua natura di madre, i cui semi danno frutti; lui per la caparbietà nel tentativo di unire due estremi, apparentemente lontanissimi.