Petite Maman – Il riflesso della vita ad altezza bambina
La piccola Nelly (Joséphine Sanz) ha solo otto anni quando, nella casa di riposo, saluta – anche se non lo sa - per l’ultima volta la nonna. Lei e i suoi genitori si recano poi nella grande casa di campagna dove la mamma Marion è cresciuta insieme a quella nonna che ora non c’è più. In quello spazio ampio e ora silenzioso Marion condividerà con la figlia alcuni “segreti” della sua infanzia, così come anche il racconto di quella casa sull’albero costruita prima dell’intervento. Poi mamma Marion scomparirà e la piccola Nelly resterà sola con il padre. Prenderà così a esplorare quel grande bosco che circonda la casa e stringerà amicizia con una bambina (Gabrielle Sanz) davvero tanto simile a lei che si chiama, guarda caso, proprio Marion come sua mamma.
Un piccolo mondo che cela grandi sentimenti
La regista francese Céline Sciamma, dopo l’applaudito film in costume Ritratto della giovane in fiamme, torna alle pennellate delicate e toccanti dei suoi giovani protagonisti, torna alle inquietudini delle sue Water Lililes (opera prima del 2007) e alla poesia infantile del suo Tomboy (2011). Con una storia tanto semplice quanto sfaccettata, diretta e universale, la Sciamma tratteggia qui la melodia incantata dell’esser bambini, il fardello dell’esser genitori, e l’inscindibile legame che lega gli uni agli altri.
Dentro una storia che racconta il riflesso della vita ad altezza bambina, che segue il filo della vita nelle sue specularità generazionali, Petite Maman schiude l’incanto e la meraviglia di un piccolo mondo che cela grandi sentimenti, e che ospita grandi, dolenti tematiche. In primis il tema avvolgente e malinconico della perdita, della mancanza, di un’elaborazione del lutto che è congenita alla vita, ma che il più delle volte appare come un’entità tentacolare da cui districarsi, e affrancarsi. Eppure, in questo film che abbraccia un dolore così profondo e magicamente lieve, a parlare sono soprattutto la pragmatica magia dei bambini, quell’inconsapevole consapevolezza che permette loro di guardare alle tristezze della vita con gioia e armonia inestimabili. Ed è cosi che un grande vuoto, incarnato anche da un luogo-non luogo fatto di spazi ampi e silenzi avvolgenti, può diventare un’avventura fatata, un’occasione di scambio e apprendimento, un momento di gioco e di spensieratezza che ci permette di fuggire a una realtà adulta, che fa male, che è difficile da metabolizzare.
Attraverso la bellezza (e la bravura) simbiotica delle due piccole protagoniste, la regista francese (classe 1978) conferma la sua mano, e firma un’opera che sublima il sentimento madre-figlia in una sorta di sorellanza, lo raccorda e lo risolve attraverso una specularità che sfrutta la scoperta del nuovo per spiegare la malinconia del vecchio, del passato.
Con una capacità più unica che rara di dirigere i bambini, e con quella impalpabile delicatezza nell’approcciare lo sguardo dei più piccoli, la Sciamma torna alla semplicità di un mondo piccolo attraversato da mille grandi sentimenti, osservato da occhi giovani ma già grandi, capaci di guardare al mondo con una profondità che va ben oltre l’orizzonte solitamente accordato allo sguardo degli adulti.