Paterson
Paterson fa l’autista di bus nella città di Paterson, New Jersey. L’uomo e la città hanno in comune un nome, che condividono giorno dopo giorno, strada dopo strada. Giornate che seguono sempre la stessa routine, le stesse convenzioni, in una ruota panoramica di elementi che sono uguali anche quando sembrano subire variazioni sul tema. Il risveglio, il percorso per arrivare al lavoro, la geografia delle strade da percorrere, le tante poesie annotate su un piccolo quaderno, la birra serale, il cane Marvin, e (infine e in primis) la sua adorata moglie Laura.
Un trend ricorrente specie in Broken Flowers del 2005 (l’indimenticato on the road esistenziale e nostalgico di Bill Murray) e in misura variabile anche in altre pellicole, è che i personaggi del cinema di Jarmusch sono spesso vagabondi erranti nella terra della loro vita, sempre alla ricerca di qualcuno, qualcosa, o più probabilmente di una chiarificazione esistenziale.
Con Paterson questo discorso è valido solo in parte, perché il suo protagonista (il Paterson, appunto, di Adam Driver) così come la di lui compagna (la Laura della bellissima Golshifteh Farahani) benché assai giovani condividono già la consapevolezza del loro status, delle loro idee, passioni, velleità, di quello che vorrebbero essere o non sono. Lui sa di essere solo un autista eppure scrive ogni giorno fiumi di versi, lei invece sogna di essere pasticcera, artista, musicista anche se poi a dominare è più l’accumulo di idee che non la loro reale concretizzazione. La loro vita (singola e di comunione) scorre geometrica all’interno di uno spazio ben definito di percorsi sempre uguali, anche quando subiscono delle casuali variazioni (il bus che si ferma, il pub che si ‘anima’). Una routine osservata nella tenerezza di un risveglio sempre insieme, e consacrata dall’occhio di un testimone non così passivo come appare, il bulldog Marvin, che sembra argomentare con la propria espressività spiccata le azioni e interazioni della coppia.
Raffinato e geometrico dalla prima all’ultima inquadratura, con Paterson lo statunitense Jim Jarmusch aggiunge un tocco di perfezionismo al proprio sguardo sul mondo e sulla vita.
Il gioco di citazioni, coincidenze, rimandi, collegamenti razionali e irrazionali che pervadono l’intera pellicola sono infatti tutti piccoli tasselli che il regista convoglia nel suo discorso sull’arte poetica. Dante, Petrarca, la Dickinson, William Carlos Williams e tutti i riferimenti poetici seminati nel corso del film ricollegano la riflessione sulla Poesia fatta e incarnata dal protagonista. Che è interpretato da Driver, come il mestiere che fa. E che guarda caso ama la sua Laura oltre ogni cosa.
Suggestioni e riferimenti che nell’uso programmatico dell’anafora e della reiterazione poetica, fissano le immagini e le parole di una storia che sembra immobile, eppure si muove in profondità di senso e sensibilità.
Très Bien Jarmusch!