Passeri - Quasi adulto

Il cinema da sempre ci parla generosamente dell’adolescenza, ossia di quel passaggio difficile verso l’età adulta che coglie il bambino fragile e spaventato. In Passeri il giovane Atli Oskar Fjalarsson è Ari: un ragazzo gentile, introverso e dalla voce d’angelo, che viene ormeggiato dalla madre nella casa paterna dove non c’è neppure l’ombra di una guida o di una regola. Lo spaesamento è totale e insopportabile, tanto che il riequilibrio dei propri desideri con le reali possibilità che il piccolo villaggio islandese può offrire è a dir poco drammatico.

Per parlarci di una famiglia strutturalmente inadeguata appare perfetta la scelta di Ingvar E. Sigurdsson nel ruolo del padre alcolizzato e irascibile e quella di Kristbjörg Kjeld come nonna affettuosa. Il confronto generazionale tra genitore e figlio è a tutto vantaggio del secondo, portando in superfice la maschera di una virilità nevroticamente sbandierata dalla figura paterna. Senza un modello da seguire, l’autocontrollo non può bastare e, per asserire la propria presenza nel mondo, ad Ari non resta che seguire la corrente. Come estremo significante di questa violenza imposta a se stesso, il sedicenne decide di accettare qualsiasi cosa il destino gli riservi. O quasi. Perché la vita non è mai in bianco o nero, ma si delinea in mille strali di sfumature differenti.

La macchina da presa del quarantenne Rúnar Rúnarsson non volta mai le spalle al suo protagonista, sebbene a volte - specie nella prima parte del film - si ha spesso la tentazione di affibbiare l’aggettivo “didascalico” allo stile registico messo in atto da Rúnarsson. Ma, pian piano che Passeri procede, la storia inanella una serie di passaggi scioccanti che danno innesco alla differenziazione e conducono all’ineluttabile presa di coscienza finale.

Presentato alla 40esima edizione del Toronto Film Festival e candidato agli Oscar nella sezione miglior film in lingua straniera, l’ultimo film dell’autore di Volcano palesa una visione molto dura dell’esistenza che non risolve la scissione ma la trascende. Come contraltare, vi è la natura di quel paesello di pescatori illuminato di giorno e di notte, che avvolge con un velo di malinconia la solitudine quotidiana di Ari. Ed è proprio per rappresentare questo fondamento comune che Rúnarsson ha saggiamente deciso di girare in Super 16 e non in digitale, dal momento che niente è meglio della pellicola in termini di delicatezza e di realismo poetico. Mentre l’unica musica impiegata all’interno dell’opera è la costruzione formale di note a cappella intonate con estrema grazia dal protagonista.