Parigi può attendere

Il debutto alla regia per una pellicola di finzione da parte di Eleanor Coppola si basa su una storia autobiografica. Nel 2009, alla fine del Festival di Cannes in cui Francis Ford Coppola aveva presentato Segreti di famiglia, Eleanor e suo marito stanno per partire per l'Europa dell'est, quando una brutta sinusite costringe la donna a restare a terra e a intraprendere un viaggio in macchina con un collega di Francis. Sulla carta e sulla cartina doveva essere un viaggio di sette ore ma, è proprio qui sta il titolo del film, “Parigi può attendere”, e il breve viaggio si trasforma in una piccola epopea di due giorni. Il collega francese è un profondo conoscitore di vini, cibi e ristoranti, fumatore accanito, sottile apprezzatore di campagne francesi e più plateale estimatore di bellezze femminili. Al ritorno da questa avventura francese, Eleanor raccontò a una sua amica i numerosi aneddoti di quell'avventura on the road, e quest'ultima le suggerì ridendo di farne un film. Dallo scherzo iniziale, Eleanor è passata alla fase di realizzazione, passando dalla ricerca di finanziatori alla ricerca di un regista, finché non è stato proprio Francis Ford a dirle “fallo tu, no?”.

A Eleanor l'esperienza non mancava, data l'assidua frequentazione dei set del marito, e affidandosi ad altri professionisti e con molto studio, è riuscita a portare a termine il film. Il risultato è un lavoro estremamente delicato, in cui molto della magia della scena è lasciata ai due protagonisti Diane Lane e Arnaud Viard, che sviluppano sullo schermo una chimica molto particolare e interessante. Parigi può attendere non è un film che vuole andare a fondo nella psicologia dei personaggi per dimostrare una qualche teoria, ma vuole solo raccontare le loro storie, partendo da mezze frasi, da sottointesi e da parole non dette. Si potrebbe dire che ci troviamo di fronte a una pellicola che ha l'ambizione di riprodurre la vita nella sua normalità, anche quando scorre all'interno di un piccolo evento eccezionale, come la convivenza casuale di due perfetti sconosciuti. Nessuna filosofia, nessuna frase a effetto, ma solo la curiosità di conoscersi e la paura di incontrarsi troppo da vicino, mostrando lati che i protagonisti vorrebbero celare anche a se stessi.

In realtà c'è un terzo protagonista silenzioso (anche se rumoroso), che ha una presenza determinante nell'economia del film. Si tratta della vecchia Peugeot decappottabile di Jacques. Si può dire che sia proprio questa automobile a dare il tono a tutta la prima parte del film. La colonna sonora è spensierata e lievemente nostalgica, i paesaggi aperti e solari, i dialoghi leggeri e privi di complicazioni. È come se la macchina fosse il modo in cui Jacques desidera apparire, prima a se stesso che agli altri. Da questo punto di vista la “scomparsa” della Peugeot, acquisisce una valenza simbolica che fa da vera e propria cesura tra quello che era stato prima e quello che viene dopo, come a rappresentare il brusco passaggio da una giovinezza durata troppo a lungo a una maturità temuta per troppo tempo. Tutto cambia: colonna sonora, atmosfere, dialoghi. Il panorama diventa improvvisamente crepuscolare, la campagna scompare per lasciare il posto alla città e le tranquille strade di campagna lasciano il passo alle autostrade. Anche la stessa macchina diventa un'entità anonima, di cui sono visibili solo i fanali, così uguali a quelli di qualunque altra vettura. 

Bruce Springsteen in Darkness on the edge of town scriveva “Ciascuno ha un segreto, un qualcosa che non riesce ad affrontare, e cerca di custodirlo a ogni respiro, finché a un certo punto non lo lascia andare o gli permette di farsi trascinare in basso”, ed è questo il senso più profondo di Parigi può attendere, e anche qui è sempre un qualcosa di molto diretto, asciutto, senza troppi fronzoli o giri di parole. Eleanor Coppola dunque ha realizzato una storia molto semplice, ma allo stesso tempo molto umana, in cui lascia emergere il carisma dei due protagonisti senza forzature, conducendoli per mano in un percorso con un'idea di regia molto chiara e senza elementi in eccesso. Del resto condensare tutto questo in soli 92 minuti, è già di per sé una piccola rivoluzione nel panorama attuale del cinema d'autore. Sono molti i film che parlano del punto di passaggio dall'infanzia all'età adulta, ma non sono molti i film che descrivono il passaggio dall'età adulta alla maturità, e Parigi può attendere si posiziona in questa piccola nicchia ancora poco esplorata.