Pan - Viaggio sull'Isola che non c'è

A volte, per capire meglio come finiscono le cose, dobbiamo prima sapere come sono iniziate.

Ricordando quasi l’apertura di Batman – Il ritorno di Tim Burton, si comincia con {persona|amanda-seyfried|Amanda Seyfried} che, nei panni della giovane Mary, abbandona sugli scalini di un orfanotrofio londinese il suo neonato accompagnato da un biglietto e un ciondolo a forma di flauto di Pan; prima di vedere lo stesso che, dodicenne e dalle fattezze di Levi Miller, chiamato Peter è il birichino ribelle del posto, il quale, sfidandone quotidianamente e furbescamente la direttrice, tanto richiama alla memoria lo Zero in condotta diretto nel 1933 da Jean Vigo.

Del resto, dichiaratamente in cerca di un’estetica che si ispirasse a Fritz Lang, è con sfumature noir degli anni Venti e ombre di due decenni dopo che Joe Wright – regista di Espiazione e Hanna – concretizza su grande schermo la sua rivisitazione tridimensionale delle avventure di Peter Pan, tenendo a mente il racconto classico di J.M. Barrie, ma distaccandosi sia dall’arcinoto lungometraggio disneyano d’animazione che dall’Hook – Capitan Uncino di Steven Spielberg che ne fornì una continuazione.

Perché, con il piccolo protagonista che, rapito dalla casa per bambini privi di genitori e trasportato nel fantastico mondo di Neverland, popolato di guerrieri e fate, sono le origini dell’eterno fanciullo volante quelle inscenate nel corso della circa ora e cinquanta di visione; tanto che, incarnato dal Garrett Hedlund di Tron: Legacy, James Uncino ancora non è il cattivo che tutti abbiamo imparato a conoscere, bensì un giovane avventuriero fornito di entrambi le mani e compagno di combattimento di Peter.

Infatti, tra indigeni selvaggi impegnati a proteggere una segreta terra fiabesca, una pregiata polvere di folletti, Rooney Mara nei panni dell’immancabile Giglio Tigrato e un galeone del XVIII secolo che, lungo oltre trenta metri, sembra addirittura l’evoluzione volante di quello visto ne I Goonies, è lo spietato pirata Barbanera a rappresentare il pericoloso nemico da sconfiggere.

Un pirata Barbanera cui concede anima e corpo Hugh”X-Men”Jackman e che fa da efficace villain durante uno spettacolo che – sorvolando su moderne bizzarrie proto-Baz Luhrmann nei momenti in cui i lavoranti nelle miniere intonano in coro classici del rock quali Smells like teen spirit dei Nirvana e Blitzkrieg bop – prende avvio in maniera piuttosto convincente, per poi rischiare di abbandonarsi più volte alla freddezza tipica dei fanta-blockbuster d’inizio terzo millennio e, infine, sfiorare nella sua fase conclusiva la magia della emozionante celluloide per ragazzi sfornata da Hollywood negli anni Ottanta.

Rimanendo, nonostante la sensazione di discontinuità, un visivamente accattivante giocattolone da schermo per famiglie che, infarcito addirittura di Spitfire RAF della Seconda Guerra Mondiale e raffiche di mitra, riesce nell’impresa di funzionare in maniera più che sufficiente.