Operation Chromite e il ritorno del cinema di propaganda

Ci sono tante ragioni per produrre e realizzare un film di guerra. Si potrebbe pensare che lo scopo primario sia quello di raccontare la storia nei suoi dati oggettivi e umani. In realtà, come insegna la storia del cinema, non esiste un modo “oggettivo” di raccontare la storia o la guerra: c'è sempre un'interpretazione in fase di scrittura, produzione e realizzazione. La guerra può essere uno sfondo in cui sono narrate vicende inventate, ma plausibili (Platoon, Full Metal Jacket) oppure può essere un sipario in cui ambientare visioni diverse di avvenimenti storici che non hanno mai avuto luogo (Quella sporca dozzina, Bastardi senza gloria). In effetti il film di guerra può sfiorare diversi sotto generi: può essere un film che parla di guerra per mostrare il suo orrore, per mostrare il rito di passaggio alla vita adulta, può rappresentare le virtù di una nazione e può anche essere semplicemente un film di azione e di avventura. A volte può essere un gesto di pietà nei confronti delle vittime della storia (Soldato blu, I dannati di Varsavia). Quello che lega tutta la cinematografia di guerra è un intento: non esiste una pellicola di genere obiettiva e indifferente rispetto all'oggetto mostrato.

Operation Chromite (non film “storico”, ma ispirato a fatti realmente accaduti) ha l'ambizione di mostrare un'operazione di spionaggio che nel 1950 ha di fatto spianato la strada alla guerra in Corea. Dopo tre anni di guerra si giungerà alla divisione che conosciamo, tra Corea del Nord comunista e Corea del Sud democratica. Il fatto che questa suddivisione sia ancora nella realtà dei fatti può sembrare un'ovvietà, ma è bene tenerla a mente, durante la visione di questo film. Le spie sudcoreane sono personaggi nobili, pronti a mettere a rischio la propria vita per gli ideali di libertà, amano le tradizioni e i legami familiari e di amicizia, non metterebbero mai a rischio la vita di un innocente: piuttosto sacrificherebbero la loro (anche perché - e non è secondario - credono in Dio). Il gruppo facente parte dell'operazione non ha linee d'ombra, cerca sempre di fare la cosa più giusta per loro e per la patria, e anche quando le cose vanno storte si riorganizza con determinazione e coraggio. Quando invece analizziamo le qualità dei nordcoreani, vediamo bene perché questo si possa considerare cinema di propaganda. I nordcoreani hanno rinnegato la loro cultura per abbracciare la cultura russa: leggono in russo, e scrivono persino in russo per i nomi in codice legati alla sicurezza nazionale. Tutta la macchina rappresentativa, inclusi gli arredi degli interni, si ricollega con evidenza all'estetica russo sovietica. I nordcoreani hanno solo una religione: la rivoluzione e nel nome di questa religione possono essere sacrificati legami familiari, amicizie, affetti e, in generale, qualunque senso di umanità. Pur di salvarsi, sono pronti a farsi scudo con civili inermi e vivono la loro vita nella paranoia e nel sospetto. Anche in questo caso siamo nella sfera della polarizzazione: non ci sono personaggi positivi tra i nordcoreani come non ci sono personaggi negativi tra i sudcoreani; non ci sono personaggi tormentati che stanno cercando la loro strada e tutti sanno con precisione quale sia il proprio ruolo e come portarlo a termine.

L'unica variabile di Operation Chromite è data dal generale Douglas MacArthur, rappresentato in maniera molto verosimile (soprattutto per la straordinaria somiglianza) da Liam Neeson. L'economia del generale in questo film è equivalente ai Deus ex machina delle tragedie greche: MacArthur interviene per salvare una situazione priva di vie di uscita. MacArthur non parla molto, ma quando esprime il suo pensiero, le sue parole escono direttamente dalla Bibbia, per implorare, auspicare e ringraziare. Anche se non viene mai raggiungo, il ridicolo involontario è sempre molto vicino. In maniera forse un po' cinica, ma realistica, si potrebbe dire che Liam Neeson è la vera ragione per cui questo film è nelle nostre sale.