On the job: the missing 8, uno sguardo spietato sulla corruzione nelle Filippine
FIn dalle prima sequenze di On the job capiamo subito di trovarci nel cinema ad alto budget, con mezzi tecnici adeguati, regia sicura e con le idee molto chiare e un cast totalmente privo di sbavature. In altre parole, una vera e propria festa per gli occhi e per il cuore. Siamo inoltre nel territorio del cinema civile, perché On the job si ispira a fatti realmente accaduti e a un tema che scuote alle radici la società delle Filippine: il tema dei cosiddetti scomparsi.
Chi è scomodo alle élite politiche e militari (anche in una città assolutamente civile e sviluppata come La Paz) infatti “scompare” (eufemismo per dire che è assassinato) e queste improvvise “assenze” raramente sono raccontate dalla stampa, sempre più esplicitamente asservita al potente di turno. Un dialogo tra la direttrice del giornale per cui lavora uno dei due protagonisti, Sisoy, è da questo punto di vista emblematico: “il tuo mestiere non è quello di fare domande. Se vuoi iniziare a fare domande dimmelo: ci metto un attimo a sostituirti”. Il reporter è solo l’amplificatore di interessi molto più grandi di lui, e se si sottrae a questo ruolo comodo, iniziano i problemi. Fortunatamente, perché senza problemi non c’è cinema.
L’interesse del regista è incentrato sullo studio di questo sistema di corruzione, connivenze e omertà. La messa in scena non è neutrale, perché il regista Erik Matti ha una cifra stilistica chiara e riconoscibile. Diversi i metodi per mettere in luce l’assurdità di un sistema apertamente violento e antiumano: il piano sequenza, usato come una coreografia per evidenziare i rapporti di potere, il montaggio musicale, che spesso rende antiepici (per non dire comici) anche i momenti più crudi e drammatici, l’uso di riquadri e di sequenze incrociate che raccontano ambiti pubblici e privati che sono da sfondo alla complessa psicologia dei due protagonisti, Sisoy, giornalista corrotto che ricerca la verità e Roman, sicario curiosamente imprigionato per un delitto che non ha commesso.
Erik Matti ha il coraggio (e la forza produttiva della HBO asiatica) di prendersi tutto il tempo che gli serve per raccontare la parabola di Sisoy e Roman, i cui percorsi sono paralleli eppure inestricabilmente legati, grazie a un respiro che diventa sempre più epico fino al finale western. On the job è un vero e proprio viaggio nel lato oscuro e criminale della politica e del potere mediatico.