Nureyev - The White Crow: Ralph Fiennes e la grande fuga in Occidente dell’immortale Rudolf Nureyev
Rudolf Nureyev era ‘soltanto’ un ballerino… Già, un uomo che con i suoi indimenticabili grand jetés osò sfidare la forza di gravità: un danzatore che divenne icona indiscussa del XX secolo e mito destinato a perdurare nel tempo. Nato il 17 marzo 1938 in prossimità di Irkutsk - la madre lo diede alla luce a bordo di un treno della celebre linea transiberiana diretto da Ufa a Vladivostok -, il piccolo Rudolf ebbe un’infanzia non proprio agiata, anzi, di famiglia poverissima, fu costretto a indossare il malconcio cappotto passatogli dalla sorella maggiore, venendo per questo soprannominato ‘il mendicante’. Beh, quel mendicante che si trasformò in ‘corvo bianco’ prima, e ‘tataro volante’ poi, finì per conquistarsi un posto d’onore nell’Olimpo delle leggende immortali.
Difficile, se non impossibile, raccontare in appena 122 minuti l’intera storia di Nureyev, e Ralph Fiennes, qui alla sua terza prova dietro la macchina da presa dopo Coriolanus (2011) e The invisible woman (2013), con il suo Nureyev - The White Crow sembra averlo compreso molto bene. In questo eccellente lavoro l’attore britannico sceglie infatti di portare sul grande schermo solo i primi anni e la “grande fuga” in Occidente del ballerino russo, ‘diserzione’ avvenuta il 16 giugno 1961 e diventata, oltre che un vero e proprio evento storico, la decisione fondamentale che muterà le sorti della sua carriera artistica proiettandolo di fatto verso la fama universale. Grazie a una struttura in tre tempi intrecciati tra loro – Parigi 1961, gli anni di Leningrado dal ‘55 al ‘61 e quelli dell’infanzia – l’opera di Fiennes offre agli spettatori un ritratto puntuale, toccante e appassionato dell’evoluzione di questo incredibile genio ribelle.
Basandosi sul romanzo di Julie Kavanagh, Nureyev - La Vita, lo sceneggiatore David Hare costruisce uno script solido come granito in cui, del carattere di Nureyev, è contemplata ogni minima sfumatura. Carismatico, egocentrico, perfezionista, malinconico, intellettualmente curioso, refrattario ad ogni costrizione o regola impostagli da altri e dotato di un’immensa forza di volontà, il tataro di Irkutsk rivive al cinema attraverso la bella interpretazione del bravo Oleg Ivenko, ventiduenne ballerino professionista ucraino al suo esordio cinematografico. Il pubblico potrà dunque conoscere, e riconoscere, lo spirito indomito di colui che fu anche un’icona politica in una fase ascendente della Guerra Fredda, un’epoca in cui l’Unione Sovietica aveva 'preso il largo'. Sì, perché proprio nell’anno della grande fuga di Nureyev i russi erano riusciti a inviare il primo uomo nello spazio (Yuri Gagarin) e aspiravano a confermare la loro superiorità culturale mandando in giro per l’Europa il balletto del Kirov, considerato insieme al Bolshoi il migliore al mondo. Ma a rompere loro le uova nel paniere ci pensò un giovane di 23 anni, un ragazzo che all’aeroporto di Parigi si rifiutò di salire su quel velivolo che lo avrebbe riportato per sempre in Russia: nacque così il ‘corvo bianco’, simbolo di libertà.
Ralph Fiennes, aiutato da un montaggio perfetto ad opera di Barney Pilling, realizza un film emozionante dove viene messo in luce il percorso interiore che porterà Nureyev a calcare il palco dei più grandi teatri mondiali e a paragonare la sua figura straordinariamente magnetica a quella di una pantera: bellezza selvaggia, armonia muscolare e ferrea determinazione. Fiennes, interprete di lungometraggi quali Schindler’s list, Il paziente inglese, The reader, Gran Budapest Hotel e tanti altri ancora non manca qui di ritagliarsi una piccola parte, quella del Maestro di danza Alexander Pushkin: un ruolo sì minimo nell’interezza della pellicola, ma un vero capolavoro di ars recitativa.
Nureyev - The White Crow, al cinema con Eagle Pictures, è un’occasione imperdibile per ammirare la tenacia del ballerino che cambiò la danza, visse per la danza e morì pensando alla danza: “La danza è tutta la mia vita. Esiste in me una predestinazione, uno spirito che non tutti hanno. Devo portare fino in fondo questo destino: intrapresa questa via non si può più tornare indietro. È la mia condanna, forse, ma anche la mia felicità. Se mi chiedessero quando smetterò di danzare, risponderei… quando finirò di vivere”, Rudolf Nureyev.