Nostalgia… canaglia!
Felice Lasco (un insolito Pierfrancesco Favino) torna dopo 40 anni nella “sua” Napoli, in quel tumultuoso Rione sanità della sua infanzia percorrendo il viaggio inverso - dal Cairo, ovvero la città che lo ha ospitato e reso uomo ‘di successo’, scampato alle “angherie” tentacolari del rione - di quello che aveva compiuto da ragazzino spinto da uno zio provvidenziale. Tornando nella sua terra e tra i suoi rumori, Felice (che ora sembra in tutto e per tutto uno straniero, compreso quello strano accento che non tradisce affatto le sue origini) ritrova una madre anziana e troppo sola, e un quartiere che rievoca in lui la nostalgia dei ricordi più belli, così come anche delle memorie più spaventose. Alla ricerca di un senso che forse è stato smarrito in una vita diversa da quella che doveva essere, il Felice Lasco di Favino ripercorre vicoli angusti e sensazioni rinfrancanti delle sue origini, ritrova tenere madeleine proustiane ma anche i demoni che hanno segnato il suo (breve ma fondamentale) tempo in quel luogo. Le corse in moto, le bravate adolescenziali. Così, lontano dalla sua vita presente e sempre più vicino al suo passato, l’uomo cercherà di ripercorrere e riconquistare quel qualcosa della sua esistenza che sembra essersi interrotto molto tempo addietro.
Adattando per il cinema l’omonimo romanzo di Ermanno Rea, Mario Martone conduce il suo protagonista attraverso un percorso di (ri)scoperta e rivoluzione, riconquista e tardiva formazione, disegnando un film che sfrutta il concetto di nostalgia per scavare nei meandri di una vita che appare tanto radicata quanto dispersa, apolide. Nel suo vagare in una Napoli “canaglia”, poliedrica e multietnica, accogliente ma ben poco rassicurante, ritrovando suoni, sapori e scenari di un tempo pieno della Memoria, Felice Lasco sembra camminare in un tempo sospeso che giustappone immagini odierne a reminiscenze del passato e che pare smarrire il suo protagonista in una ricerca proustiana del tempo perduto.
Mario Martone torna a indagare la sua Napoli, mentre la sua opera viaggia su una Nostalgia visiva che a tratti riemerge (specialmente nell’incipit con la madre, e nel finale, forse il momento in assoluto più riuscito del film, trascinato da un incisivo climax narrativo e musicale) sfruttando l’eleganza della messa in scena, e spesso si perde (tutta la prima parte) in tempi sospesi che non trovano la profondità esistenziale che dovrebbero, invece, avere. Tutto (o quasi) poggia sulle spalle dell’onnipresente Pierfrancesco Favino (un po’ forzata la sua parlata ‘arabeggiante’ che poco si presta a dinamiche di mero realismo narrativo) e su una Napoli istrionica che sa colmare gli spazi bianchi di un film più riuscito nelle intenzioni che nella totalità dei fatti. Martone cerca di veicolare un sentimento che si propaga infatti solo fino a metà strada, perdendosi qui e là nelle troppe figure e dinamiche solo abbozzate (la moglie che figura un paio di volte da un divano nella remota città del Cairo) e in qualche dialogo che non rende giustizia alla voce profonda di una propria nostalgia.
Film sulla perdita e nella perdita come scandisce l’incipit pasoliniano - «La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso non possiede» - Nostalgia prova a prendersi e a perdersi più volte nella sua anima multiforme: un’anima anarchica, un po’ thriller, un po’ western, un po’ dramma esistenziale. A volte riesce, altre meno.
(Foto @Mario Spada)