Non si ruba a casa dei ladri

Se, guardando in parte al chiacchieratissimo caso Parmalat, attraverso il gradevole In questo mondo di ladri provvide ad inscenare nel 2004 il piano di rivalsa attuato da cinque individui ritrovatisi vittime di una vera e propria truffa immobiliare, a dodici anni di distanza Carlo Vanzina – affiancato in fase di sceneggiatura dall’inseparabile fratello Enrico – sfrutta un soggetto simile per raccontare tramite Non si ruba a casa dei ladri la vendetta studiata da un onesto imprenditore con le fattezze di Vincenzo Salemme, insieme alla moglie interpretata da Stefania Rocca, nei confronti di un deputato intrallazzatore cui concede anima e corpo Massimo Ghini, il quale lo ha portato alla rovina. Un Massimo Ghini che, affiancato da una tanto sexy quanto ignorante amante, efficacemente incarnata da Manuela Arcuri, sembra quasi fornire una prosecuzione degenerata del sottosegretario Mauro Valenzani che ci regalò nel mitico Compagni di scuola verdoniano; con la grande differenza che afferma di non appartenere né alla destra, né alla sinistra, in quanto nel XXI secolo l’importante è spartirsi il potere e le persone, di conseguenza, vanno dove tira il vento.

Perché, attingendo da un lato ai “maneggioni” che portavano i soldi in Svizzera ne La congiuntura di Ettore Scola, dall’altro al dialogo/confronto tra l’industriale senza scrupoli Vittorio Gassman e il giudice tutto di un pezzo Ugo Tognazzi messo in scena nel corso di In nome del popolo italiano di Dino Risi, è la sempre meno amabile Italia di Mafia capitale quella che viene sbeffeggiata; man mano che la truffa organizzata nella banca di Zurigo ai danni del disonesto politico arriva a coinvolgere un giovane attore, una bellissima ragazza dedita alle manicure ed un ex gestore di un salone di automobili riciclatosi autista di limousine, rispettivamente con i volti di Lorenzo Balducci, Ria Antoniou e Maurizio Mattioli. Quest’ultimo oltretutto destinato a strappare non poche risate nel cimentarsi con la parlata piemontese, mentre tenta di trasformare i già citati Salemme e Rocca in due cafonissimi romani degni dei Jessica e Ivano di Viaggi di nozze (riecco Verdone).

Arricchendo il consueto e sempre comicamente funzionale gioco dei dialetti all’interno di una godibilissima oltre ora e mezza di visione che, guardando in maniera evidente anche ad analoghe operazioni d’oltreoceano (citiamo soltanto Dick & Jane – Operazione furto con Jim Carrey e Téa Leoni), non solo riesce nell’impresa di divertire lo spettatore ricorrendo allo stesso identico cinismo di fondo che ha caratterizzato i migliori titoli della Commedia all’italiana, ma conferma come l’ironia possa rivelarsi in grado di affrontare – senza farci dimenticare la loro negativa essenza – scottanti tematiche quali lo smaltimento dei rifiuti e le gare d’appalto truccate in modo decisamente più convincente e veritiero di quello che fu il tanto atteso quanto inverosimile Suburra.