Nome di donna, Marco Tullio Giordana racconta le molestie sessuali sul lavoro
Ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato, svelando al mondo intero l’affair Weinstein – scandalo scoppiato a Hollywood che vede come protagonista Harvey Weinstein, produttore e fondatore della Weinstein Company e della Miramax –, il tema delle molestie subite dalle donne in ambito lavorativo è ormai all’ordine del giorno. Marco Tullio Giordana, regista da sempre attento nel raccontare i drammi e le contraddizioni del nostro Paese, con Nome di donna porta sul grande schermo la storia di una giovane madre che si ribellerà alle ricattatorie avances del suo datore di lavoro.
Nina, una brava restauratrice costretta ad abbandonare Milano per cercare un’occupazione, verrà assunta come inserviente in una residenza per anziani benestanti. Inizialmente per Nina filerà tutto liscio, sino a quando il direttore della Casa di Riposo non la convocherà nel suo ufficio…
Non v'è ombra di dubbio che le intenzioni di Giordana siano più che pregevoli, come d’altronde siamo certi che fare un film che parlasse di molestie fosse non solo necessario, ma soprattutto urgente. Già, perché secondo gli ultimi dati Istat il 43,6% delle donne in Italia ha subito una qualche forma di molestia sessuale per mano dei propri superiori, e più dell' 80% delle interessate non ha avuto il coraggio di sporgere denuncia. Il filmmaker lombardo, nonostante le ottime motivazioni che lo hanno spinto a realizzare quest’ultimo lavoro, appare però qui talmente didascalico da rendere l’intera pellicola decisamente poco incisiva: contenuti nobili racchiusi in una narrazione quasi scolastica di stampo più televisivo che cinematografico.
A complicare le sorti di Nome di donna si aggiungono poi una sceneggiatura troppo esile e un montaggio non sempre preciso. Ma sebbene si sia distanti dalla fluidità e profondità di La meglio Gioventù, I cento passi o Romanzo di una strage, vanno comunque riconosciuti a Giordana sia il suo costante impegno civile che la sua abilità nel trattare con garbo tematiche tristemente attuali, quali ad esempio la mancanza di solidarietà tra colleghe – comportamento dettato in questo caso dalla paura di licenziamento – , o l’abuso di potere esercitato verso i più deboli. Cristiana Capotondi, nel ruolo di Nina, non delude e non elettrizza, così come anche il resto del cast, ovvero: Valerio Binasco, Stefano Scandaletti, Michela Cescon, Bebo Storti. Tutt'altro discorso invece per Adriana Asti che, malgrado le poche battute a lei riservate, illumina di luce propria un’opera purtroppo sbiadita.