Neruda
Cile, 1946-1948. La guerra fredda sta iniziando nel Paese e il senatore Pablo Neruda (un formidabile Luis Gnecco), membro del Partito Comunista del Cile e senatore, muove profonde critiche all’autoritarismo crescente del governo. Di fronte a quelle critiche, il presidente Gabriel González Videla comanda a quel punto di procedere all’arresto del poeta, personaggio popolare e improvvisamente troppo scomodo.
Il compito di rintracciare e arrestare Neruda sarà affidato al giovane commissario Òscar Peluchonneau (il sempre ottimo Gael García Bernal), a capo del comando di polizia. Nel frattempo, però, Neruda – appresa la notizia della sua prossima cattura - con la fedele compagna Delia del Carril inizia un lungo periodo di fuga durato tredici mesi. Momento di evasione in cui per il celebre poeta inizierà tra le altre cose anche la stesura del celebre "Canto General", una raccolta di 231 poesie nonché ode all'America Latina.
Fuggitivo e inseguitore, protagonista e antagonista inizieranno dunque un inseguimento serrato, un testa a testa esasperato e proiettato oltre il semplice confronto tra due uomini appartenenti a mondi diversi, e schierati su fazioni opposte. E infatti, in realtà, tra i due uomini sembrerà crearsi una sorta di reciproca stima, accettazione, che pur nella distanza delle loro posizioni, li legherà assieme tramite un filo invisibile. Come se in fondo la Poesia di Neruda, non tanto la specificità dei suoi scritti quanto l’aura poetica emanata dell’uomo, fosse in grado di contagiare tutto e tutti, diventare un luogo comune di rifugio ed evasione per il popolo cileno intero.
Dopo il grande successo di critica ottenuto con i precedenti lavori, specie il precedente El club, Pablo Larraín presenta al Festival di Cannes 2016 (nella sezione parallela della Quinzaine des Réalisateurs) l’ultimo lavoro dal titolo Neruda, ritratto estroso e sottilmente visionario su uno degli uomini e artisti più complessi e interessanti del XX secolo, il premio Nobel Pablo Neruda.
Questa sorta di biopic liberamente ispirato alla vita dell’artista è in effetti un mix di verità e fantasia che ha il pregio di rielaborare a cavallo tra poesia e iperrealismo, un tempo storico fondamentale per il Cile e in cui il profilo di Neruda artista, politico, e poeta si mescola in un cocktail interessante e inscindibile.
Già con le pellicole precedenti e in particolare con Post Mortem e No - I giorni dell’arcobaleno, Larraín aveva dato prova di uno sguardo e uno stile abbastanza maturi da riuscire a elaborare la complessa storia del Cile attraverso film fedeli e al tempo stesso liberi dal riferimento storico.
Anche qui in Neruda lo stile fresco e dirompente trova espressione perfetta in una pellicola fortemente teatrale, estetica, che nel voice over che accompagna la narrazione (tracciata dalla voce e nelle memorie personali di Òscar Peluchonneau) sfocia quasi nella fiaba, nel racconto visionario. Il carisma dei due protagonisti interpretati da una coppia di attori magnetici permette poi alla pellicola di non tradire mai l’equilibrio tra fiaba e a realtà, ironia e cupezza, tono ironico e dissacrante, e perfettamente serviti dalla raffinata intelligenza di dialoghi che rendono esattamente la cifra del pensiero e del momento storici (“I comunisti odiano lavorare, preferiscono bruciare le chiese. Li fa sentire più vivi”).
L’eclettismo di Pablo Neruda, abilissimo oratore, grande paroliere offre dunque a Larraín lo strumento ideale per rievocare la storia ‘giocando’ al confine tra racconto e finzione, rielaborazione onirica e immaginazione, e trasformando il racconto di questa fuga/inseguimento in un’opera d’atmosfere e personaggi per moti versi ammalianti.
Dunque un altro punto a segno per questo giovane regista (classe 1976) che sembra avere talento da vendere e lo stile giusto per raccontare le tante vicissitudini ma anche l’estrema ricchezza che hanno caratterizzato la Storia di un Paese come il Cile. Il suo Cile.