Nancy – Identità smarrite e interrotte in un thriller esistenziale dal carattere forte
Nancy ha trentacinque anni, vive con la madre malata di Parkinson, e ha un talento incompiuto per la scrittura. Ma la sua è una vita vuota, incolore, dove il rapporto conflittuale con la madre pare essere solo uno dei tanti disturbi (funzionali e comportamentali) che gravano sul suo corpo schivo ed esile. Svogliata e quasi del tutto estranea al mondo che le ruota attorno, Nancy sembra infatti come non riconoscersi e non provare interesse per nulla, se non per il suo gatto e per quel sogno lontano di veder pubblicato (forse un giorno) un suo racconto. Ragazza complessa e complessata, attraversata da diverse ombre, Nancy cova anche l’idea che la madre l’abbia rapita da piccola. Così un giorno, dopo il trauma della perdita della madre, e di fronte alla storia di una coppia la cui figlia è scomparsa trent’anni prima, Nancy si convince di essere proprio quella ragazza, e si mette in contatto con i due coniugi. Tra verità e immaginazione, passato e presente, si va così tratteggiando attorno alla figura di Nancy un thriller esistenziale che scava nella solitudine, nella memoria, in una sovrapposizione necessaria a lenire il dolore, e nell’incompiutezza di una serie di vite tutte alla ricerca del loro pezzo mancante.
In bilico tra thriller esistenziale e dramma d’identità, Nancy della regista americana Christina Choe (che scrive di suo pugno anche la sceneggiatura, già premiata al Sundance) è opera complessa che scava nell’identità della protagonista del titolo (interpretata dall’inquietudine schiva e potente della bravissima Andrea Riseborough) e nella complessità del suo rapporto tanto con la madre “ufficiale” quanto con i genitori potenziali.
“Si possono dire molte cose tacendo”. E proprio nel silenzio asfissiante di Nancy, in quel suo essere “esistenzialmente sciatta”, nel condurre vite parallele affidate a una realtà virtuale che colma il vuoto di quella reale, si anima tutto il disagio di una giovane donna con tante ferite tutte difficili da rimarginare, e che cerca disperatamente in quel mondo esterno un appiglio attraverso il quale riconoscersi, ritrovarsi, e ritrovare le origini di quel suo animo così tormentato. Una vita ossessiva alimentata da rapporti angosciosi e compulsivi (con la madre, con il cibo, con il suo gatto) e che sono sintomi di una incompiutezza e complessità di vita che crescono (anziché diminuire) con il trascorrere del tempo e degli anni.
Capelli neri informi e spettinati, sempre struccata, vestita di una femminilità svogliata e a tratti quasi rinnegata, Nancy vedrà in quella sua proiezione e possibilità di realtà l’ennesimo strumento a cui aggrappare le sue insicurezze e le sue tante paure, affidando a quei due genitori probabili il ruolo di custodi di un’anima smarrita. Bambina in un corpo di donna, abitata tanto da gesti inconsulti di estrema infantilità, quanto da gesti di incredibile e inaspettata maturità, la Nancy di Andrea Riseborough si muove con incrollabile determinazione attraverso un mondo fatto di tanti incubi e qualche grande sogno, ritrovando in quella sua fervida immaginazione e in quel suo raro talento per la scrittura gli unici strumenti per affrontare una tremenda realtà di sciatteria, abbandono, recriminazione, vuoto umano.
Una via crucis del cuore e della testa dal quale in un modo o nell’altro si uscirà forti della propria consapevolezza, e forse un po’ più consci di dover prendere la realtà per quello che è, apprezzare la vita trovando conforto in quello che si ha, e cercando - in qualche modo - di accantonare i tanti fantasmi generati dalle ombre emotive e dai vuoti esistenziali di passati spesso troppo difficili da metabolizzare.