Nahid
Il titolo fa riferimento alla protagonista interpretata dalla Sareh Bayat di Una separazione (2011), giovane donna divorziata che vive sola insieme al figlio di dieci anni in una città perennemente avvolta dalla nebbia sulle sponde del Mar Caspio, nel Nord dell’Iran, dove la legge prevede che la custodia del bambino spetti al padre; il quale, violento e drogato, l’ha comunque concessa alla moglie a patto che lei non si risposi.
Una storia che la regista Ida Panahandeh – proveniente dal piccolo schermo e dall’universo dei cortometraggi – ha scritto insieme al co-sceneggiatore Arsalan Amiri pensando proprio a una ragazza che appariva spesso davanti ai loro occhi con il figlio per chiedergli di crearne una su di lei. Una storia destinata ad evolversi con Nahid che, dedita ad un lavoro precario e alla anziana madre malata, finisce per complicarsi ulteriormente la vita dal momento in cui, ancora speranzosa nei confronti della felicità, intreccia un rapporto con il vedovo e padre di una bambina Masoud alias Pejman Bazeghi, il quale potrebbe assicurarle affetto e sicurezza economica.
Il Masoud con cui, appunto, non può però convolare a nozze ed intrattenere una relazione clandestina, in quanto è la questione femminile in Medio Oriente il fulcro della oltre ora e quaranta di visione, ovvero uno dei primi film che si occupano del problema delle donne divorziate, inclusi l’affidamento dei piccoli e il matrimonio temporaneo.
Perché, richiamando in un certo senso alla memoria il Neorealismo, è la loro esistenza piena di sofferenza ad essere raccontata nel dichiarato tentativo di contribuire a modificare la mentalità delle persone in una società che non sembra voler sapere cosa significhi non solo essere donna, ma anche madre.
Una società sempre più moderna e meno tradizionale di quanto lo fosse dieci anni addietro, ma al cui interno le leggi sembrano resistere al cambiamento. Una società qui oltretutto rappresentata senza far splendere mai il sole nel cielo, complice il lavoro svolto dal direttore della fotografia Morteza Gheidi al servizio di un’operazione principalmente basata sulle prove degli attori, ma alla quale, di sicuro, avrebbe giovato qualche minuto in meno.