My Generation: Alfie a zonzo per Carnaby Street
Con la compagnia di Sir Michael Caine che racconta quei fantastici anni '60 in cui era giovane, siamo catapultati in un epoca dove tutto era colorato, dove tutta la musica era bella (o quasi), dove tutto sembrava possibile e dove la totale rottura con un passato fattosi vecchio e chiuso era inevitabile. E se la regia di David Batty, eccellente documentarista, fa il suo, è pur vero che il grosso lo fanno le immagini di repertorio che coinvolgono storiche icone quali la modella Twiggy (presente anche come voce fuori campo insieme a Paul McCartney, Marianne Faithfull e tanti altri), la stilista Mary Quant, l'acconciatore Vidal Sassoon, l'artista David Hockney e via andare.
In uno strano percorso dove il nostro accompagnatore torna avanti e indietro con gli anni (il giovane Caine e quello un po' più attempato) tutto sembra brillare di luce propria e tutto quello che fa parte del nostro immaginario di spettatori trova un riscontro. Anche la fase buia del tutto, l'arrivo della droga, lo trova. Ed anche in questa descrizione non agiografica risiede il fascino di “My Generation”, non è tutto oro quello che luccica.
Come già detto, nel costruire la cosa a puntino, un grande ruolo se lo prende la colonna sonora (per chi non lo sapesse il titolo del film è quello della canzone più leggendaria degli Who) che, ovviamente non è solo Beatles contro Stones (anzi, nel film si vede quanto le due band fossero legate da amicizia). Insomma un caleidoscopio dove la cultura popolare assume finalmente un ruolo principale e dove non sono più i ricchi a dettare la quotidianità. Come a dire, una rivoluzione. E ci accorgiamo che quella generazione lì ha vinto. Nonostante tutto.