Monolith: un test nel deserto

Da un soggetto nato dalla penna del fumettista bonelliano Roberto Recchioni, il titolo Monolith fa riferimento alla ultratecnologica automobile che, in viaggio su polverose e tutt’altro che urbane strade statunitensi, quasi suggerisce un immaginario proto-Mad Max.
Ma non vi è alcuno spazio per post-apocalittici scenari futuristici nel secondo lungometraggio diretto da Ivan Silvestrini, che, rimanendo su quattro ruote, passa dalla coppia in cerca di un parcheggio per poter fare sesso in macchina portata in scena nella commedia 2night alla ex cantante Sandra, interpretata dalla Katrina Bowden di American pie: Ancora insieme, in viaggio insieme al figlioletto di due anni.

Viaggio nel corso del quale tensione e nervosismo salgono progressivamente, con tanto di immancabili falsi allarmi atti a tenere sulle spine lo spettatore; il quale, convinto di stare per assistere ad un thriller on the road sulla falsariga del Duel di Steven Spielberg, si ritrova, in realtà, dinanzi ad uno spettacolo caratterizzato da ben altra struttura. Infatti, è semplicemente con il bambino bloccato all’interno della corazzata e indistruttibile vettura chiusa dall’interno e la madre che, da fuori, tenta di liberarlo che prosegue la oltre ora e venti di visione, immersa in un arido spazio desertico destinato paradossalmente a trasmettere l’impressione di un ideale, claustrofobico involucro, complici l’assenza di presenze umane e l’impossibilità di richieste di soccorso.

Una tragica situazione che, tra sole sempre più cocente ed inevitabile bisogno di acqua, non può fare a meno di essere in un certo senso accostata a quella in cui si trovava coinvolto il soldato visto in Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro; tanto più che abbiamo anche qui sogni illusori e pericolosa fauna locale pronta a rendere ancor più difficile la vita della protagonista. 

Protagonista che, di conseguenza, si cimenta lodevolmente, fotogramma dopo fotogramma, in un vero e proprio assolo disperato in cerca di una soluzione; man mano che la colonna sonora a firma di Diego Buongiorno richiama chiaramente alla memoria le musiche composte da Brad Fiedel per Terminator di James Cameron.

Al servizio di un esercizio di stile di genere che, mirato ad indagare sul rapporto con una tecnologia iperprotettiva e tendente sempre più a sostituirsi all’uomo nelle sue scelte, avrebbe di sicuro necessitato di qualche altra idea per poter rendere maggiormente accattivante lo script... sebbene il peso di una regia attenta si faccia sentire e la macchina da presa venga sfruttata nella giusta maniera, garantendo anche la scorrevolezza generale.