Momenti di trascurabile felicità – Daniele Luchetti porta sul grande schermo l’omonimo romanzo di Francesco Piccolo
Paolo (Pif) è marito (di Agata, interpretata da Thony) e padre. La sua è la normale vita di “uomo medio” anche se spesso si pone domande e solleva riflessioni al limite del filosofico: “Lo yoga e l’Autan non sono in contraddizione?, Perché il primo taxi della fila non è mai davvero il primo?”. Forse il suo momento è giunto, e l’appuntamento con il destino quasi mai è di quelli procrastinabili. Però, per un banale errore di conteggi dei piani alti, forse resta ancora qualche ora per fare il punto con la vita e con i momenti che di norma la costituiscono. I cosiddetti Momenti di trascurabile felicità, ovvero quei momenti (e quelle persone) che lì per lì e nell’estemporaneo appaiono forse scontati, di routine e banali, ma che poi sulla linea temporale e soprattutto nella proiezione di un tempo che non c’è più riacquistano tutto il loro valore, illuminando quel senso ultimo della vita sempre troppo sfuggente.
Liberamente ispirato a Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità (di Francesco Piccolo, entrambi editi da Einaudi), Daniele Luchetti porta sul grande schermo il film dal titolo omonimo, una riflessione fresca eppure intensa sul senso della vita e dei rapporti, sul legame tra vita e amore, legame che spesso e volentieri appare quasi come una contraddizione in termini. L’ora X dell’esistenza serve quindi da escamotage e motivazione per avviare un consuntivo sulla vita, vedere con occhi nuovi le cose e le persone che ogni giorno ci stanno intorno, e che troppo spesso sembrano (nostro malgrado) lentamente svanire nell’indifferenza. Eppure, come il passaggio a livello di un treno, che determina attese più o meno felici, più o meno sensate, più o meno lunghe, anche la vita spesso assume la valenza di una grande attesa che muta profilo a seconda delle stagioni, venendo immancabilmente e ciclicamente attraversata da momenti di felicità e infelicità, quegli stessi momenti che poi insieme e sulla distanza ne determinano il senso e il valore profondo.
Luchetti (Mio fratello è figlio unico, La nostra vita) trova e valorizza il senso del romanzo di Francesco Piccolo trasformandolo in un film tenero e delicato, profondo e malinconico, sempre in bilico tra commedia e dramma. E sa da un lato il tono ironico e scanzonato (un registro cui dà perfettamente voce e corpo Pif) rende l’opera di Luchetti apparentemente leggera, dall’altro la profondità del tema su cui poggia la narrazione non può non sollevare le stesse pregnanti riflessioni che attraversano la mente del protagonista in un momento a dir poco decisivo della sua vita. Soggetto, sceneggiatura e dialoghi qui servono ottimamente la tenuta emotiva e drammaturgica di un’opera che parte da un sorriso e poi chiude in calde lacrime, che scorrono lungo il profilo malinconico di un doloroso addio acuito dal latente senso di colpa. Pif infatti veste con grande aderenza i panni dell’uomo afflitto dall’idea di non aver dato e fatto abbastanza, mentre Thony racchiude in pochi sguardi tutto quel mondo “al femminile” di cose da fare e frenesia che spesso nascondono senza mai sovrastare il lato umano e affettivo della donna. A chiudere il cerchio, il sempre ottimo Renato Carpentieri calato nel ruolo di un Virgilio moderno e dai connotati perfettamente umani: passibile di errore, corruttibile e burlone quanto basta.
Daniele Luchetti torna dunque a riflettere sulla vita e sui drammi che la attraversano con uno stile e una profondità che smuovono qualcosa nel profondo, perché la sua opera racchiude davvero e verosimilmente insieme gran parte di tutti quegli elementi e quei momenti di trascurabile (più o meno) felicità e infelicità che un giorno o l’altro tutti noi ripercorriamo quali tasselli fondanti della nostra Vita.