Mister Chocolat
Nella Francia della Belle Époque, Rafael Padilla (Omar Sy) è un ragazzo di colore che si guadagna da vivere mettendo in scena la discriminazione razziale di cui è (volente o nolente) portabandiera. Lui, nero di origine cubana veste infatti nella Francia coloniale e all’interno di un piccolo circo, i (pochi) panni del cannibale, del negro, dello schiavo dalla pelle diversa che spaventa e diverte i ricchi bianchi. Eppure, quella rappresentazione di fenomeno da baraccone, ‘esibito’ all’interno di un vero e proprio show del freak, gli fa mettere in tasca qualche soldo.
Sarà però con l’arrivo di Footit (James Thierrée) - rinomato e talentuoso clown sempre più snobbato dalle strutture circensi che sono ora in cerca di numeri nuovi, originali – che Rafael scorgerà da vicino le luci del successo.
Convinto da Footit a duettare con lui in un numero di clown “bicolore” (il bianco e il nero), Rafael infatti scoprirà ben presto di essere un vero talento comico, dotato di movimenti e tempi ottimi per la scena.
Insieme, i due clown, porteranno un vento di novità tra gli oramai stantii numeri circensi, mettendo insieme due volti e due colori, due facce della stessa medaglia, riuniti nel comune obiettivo di far ridere i francesi del tempo.
Mutato infatti lo stile e proiettato dal piccolo circo provinciale di Monsieur Delvaux al ben più scintillante circo parigino (Le Nouveau Cirque), Rafael diventerà Mister Chocolat, sperimentando in breve tempo l’ascesa, così come l’ebbrezza del successo, della popolarità e anche di una certa ‘ricchezza’.
Ma i tempi della discriminazione sono ancora in auge e per un nero sotto i riflettori della ribalta le cose non sono certo semplici.
Stufo di giocare sempre alla parte del sottomesso, dello schiavo dai tratti scimmieschi, di quello che si fa prendere a calci dal bianco senza mai smettere di sorridere, Chocolat proverà dunque a fare ancora un passo ulteriore, in direzione della propria vera identità e del miraggio di uomo libero.
Un tentativo che metterà però in gioco ogni centimetro di strada conquistata fino a quel momento e che, insieme al vizio per il gioco e al razzismo prepotente che ancora regna sovrano, deciderà (da lì in poi) il suo futuro.
Il regista (e attore) Roschdy Zem (Bad Faith, Omar Killed Me), trae libero spunto dalla storia di Chocolat (primo intrattenitore circense nero al mondo) per raccontare un momento storico fatto di rivoluzioni ma soprattutto di abusi e discriminazioni.
Adattando allo stile e al tono della quasi-commedia quello che aveva fatto a suo tempo Abdel Kechiche con la sua Venere Nera, Roschdy Zem cuce addosso al carisma e alla bravura congiunta di Omar Sy (nome giunto alla ribalta con il successo di Quasi Amici) e James Thierrée questa parabola di amicizia, contrasti, e generica riflessione sulla condizione di profonda subordinazione e denigrazione cui sono stati sottoposti storicamente i popoli colonizzati, nella fattispecie i neri.
Lo spunto di meditazione ingranato da Mister Chocolat è uno di quelli importanti, alti, che muove un’analisi critica lungo tutto il percorso fatto dalla storia sino a oggi, e nel solido, controverso rapporto tra dominati e dominanti, sottomessi e padroni.
Per sopperire al dramma latente della storia e rendersi appetibile a un vasto pubblico, Chocolat si avvolge dunque nell’ironia e nel savoir-faire dei suoi protagonisti, anche se poi il sorriso in scena dei due pagliacci non è che il nascondiglio segreto di lacrime calde e amare.
Entrambi, in fondo, sono maschere opache di un io da tenere taciuto, nascosto, per evitare il pubblico ludibrio quando non il pestaggio vero e proprio.
Luci e ombre (molte) di una storia vera, narrata con linearità e qualche stereotipo/semplificazione di troppo, ma che si accende nei momenti a due, in quella joie de vivre portata in scena in barba alle sofferenze, ai dolori, ai rifiuti, e così affabilmente mimetizzata in due uomini soli ma legati da un filo, divenuti ‘simboli’ di un’epoca e di una ‘lotta artistica’, e passati di diritto nella storia dei binomi inscindibili. Footit e Chocolat.