Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali
Un goffo e problematico ragazzo che vive un’esistenza ordinaria in cui pensa che non avrà mai un ruolo di primo piano ma che, quando il nonno Abe alias Terence Stamp muore in modo misterioso, parte per il Galles in cerca di notizie sul suo passato, scoprendo la reale esistenza di una casa e dei propri abitanti Speciali, a proposito della quale il defunto gli aveva raccontato tante storie.
Con il protagonista in possesso dei connotati dell’Asa Butterfield di Hugo Cabret, è da questo semplice pretesto che prende il via Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, tratto dall’omonimo bestseller di Ransom Riggs e la cui figura femminile del titolo altro non è che una sorta di Mary Poppins tenebrosa definibile come ymbrine, capace di manipolare il tempo ed assumere le sembianze di un uccello. Sorta di Mary Poppins tenebrosa protettrice, appunto, degli Speciali di cui sopra e che, dedita all’uso della sua abilità per creare un anello temporale nel quale lei e i ragazzi vivono un unico giorno che si ripete all’infinito, è incarnata nei fotogrammi dalla sexy Eva Green che già per il poco riuscito Dark shadows fu al servizio del qui regista Tim Burton.
Un Tim Burton che, come è facile intuire dal plot, parte da un’idea di fondo non distante da quella che caratterizzò il suo Big fish – Le storie di una vita incredibile; ricorrendo, appunto, ad aneddoti fantastici che finiscono per rivelarsi veri tirando in questo caso in ballo un manipolo di insoliti giovani spazianti da chi è in grado di bruciare oggetti al tocco ad un “Signore delle api” costretto ad indossare una maschera da apicoltore per impedire che lo sciame che vive dentro di lui getti lo scompiglio tra gli amici. Senza contare due gemelli dai volti nascosti, la tizia fornita di una bocca dai denti affilati sul retro della testa, quella che manifesta la particolarità di saper influenzare la crescita delle piante, la piccola ma potente Bronwyn, chi ha il dono dell’invisibilità, colui che è capace di proiettare i sogni su uno schermo e il più grande di essi, la cui specialità consiste nel dare temporaneamente vita agli oggetti inanimati.
E, proprio a proposito di un combattimento tra bambole organizzato da quest’ultimo e realizzato attraverso l’animazione in stop-motion, è quasi impossibile non pensare a determinati b-movie appartenenti all’universo di Charles Band (produttore della saga Puppet master, per intenderci) nel corso delle oltre due ore di visione che, se omaggiano in maniera evidente Gli argonauti di Don Chaffey nel momento in cui abbiamo un confronto con scheletri viventi, sembrano quasi citare L’Atalante di Jean Vigo nelle sequenze subacquee.
Citazioni cinefile che è lecito aspettarsi dall’autore di Edward mani di forbice e Il mistero di Sleepy Hollow, il cui tocco, come di consueto, è riconoscibile in particolar modo nelle atmosfere gotiche dell’abitazione e da un respiro quasi horror emergente, tra l’altro, quando un tale Victor si risveglia improvvisamente sfoggiando orbite vuote.
Mentre, manipolatrice dell’aria obbligata ad indossare un paio di scarpe di piombo per evitare di galleggiare e volare via interpretata dalla Ella Purnell di Kick-Ass 2, è Emma ad avvicinarsi sempre di più a Jake in un’avventura che, incentrata sul tema dell’accettazione di ciò che di originale e singolare esiste in tutti gli esseri umani, pone oltretutto Samuel L. Jackson nei panni del malvagio Barron dagli occhi lattiginosi, evoluzione sinistra dei mostruosi Vacui e convinto che la chiave per l’immortalità sia la cattura di Miss Peregrine e della sua combriccola speciale.
Al servizio di una storia soprannaturale di crescita e maturazione che, non priva neppure di mostruose trasformazioni e di banchetti a base di bulbi oculari, appare sì visivamente accattivante, ma piuttosto fiacca durante la sua prima parte e che rischia in più occasioni di essere fagocitata dall’effettistica digitale... tanto che, anziché del geniale artefice di Ed Wood e Batman, sembra quasi di trovarci dinanzi al lavoro di un suo emulo continuamente indeciso se prendere la strada dell’inquietudine per adulti o quella dell’infantilismo.