Mio Zio
“Vede quello che noi non vediamo più, sente quello che noi non sentiamo più, gira come noi non facciamo…”. Negli anni Settanta con queste parole François Truffaut elogiava il geniale Jaques Tatisheff, in arte Jaques Tati. Sconosciuto dalle nuove generazioni, e poco ricordato da quelle vecchie, Tati torna finalmente ad essere celebrato grazie a un progetto di Ripley’s Film che, in collaborazione con la Viggo S.r.l., riporterà sul grande schermo le versioni restaurate di quattro dei suoi indiscussi capolavori: Giorno di Festa, 1949, Le Vacanze di Monsieur Hulot, 1953, Mon Oncle, 1958, Play Time, 1967.
Forse non tutti sanno che l’artista francese fu un vero appassionato di sport: tennis, boxe, equitazione – che lo aiutò ad entrare nello storico reggimento dei Dragoni francesi – e rugby. La pratica sportiva sarà determinante per le sue prime esibizioni teatrali, e la fisicità, rubando il posto alla parola, diventerà il suo asso nella manica. Ma non basta essere un bravo mimo per scalare l’Olimpo cinematografico, e Tati va infatti ben oltre la semplice gestualità: tutto in lui è innovativo, originale, profondamente poetico e comicamente commovente.
In Mon Oncle – scritto, diretto, e interpretato dallo stesso Tati – conosceremo lo stravagante e sempre allegro Monsieur Hulot alle prese con la famiglia di sua sorella, composta dal marito, il signor Arpel, e dal piccolo Gerard. Gli Arpel vivono in una casa ultramoderna, colma di artefatti all’ultima moda, in un quartiere borghese. Hulot, invece, abita in un vecchio condominio di un variopinto e antico rione parigino. Riusciranno, i ricchi coniugi, a ingabbiare Hulot nel loro mondo di regole e plastica?
Qualsiasi parola utilizzata per esprimere la grandezza di questo film sarebbe riduttiva: Mon Oncle, difficile da rinchiudere in schemi rigidi e asettici, proprio come il suo protagonista, è un incredibile balletto danzato sulle note della fantasia. Jaques Tati, limitando i dialoghi al minimo indispensabile, riesce a mettere in scena un’opera in cui eleganza, umorismo e ironia servono da cornice alla realizzazione di una parodia sulla società ultratecnologica, dove l’apparire conta purtroppo più dell’essere. Mettendo a confronto l’incantevole, caldo ed accogliente sobborgo di Monsieur Hulot con la fredda zona residenziale dei Signori Arpel, Tati costruisce due mondi contrapposti, il primo dei quali è un luogo palpitante di vita, colori e canti di uccellini, e il secondo, al contrario, è un posto monotono, pieno di rumori elettronici: il paradiso in terra in via d’estinzione che lotta per non farsi inghiottire dall’inferno della modernità.
A far da ponte tra questi due universi così distanti tra loro è un malandato muretto in pietra che solo un branco di cani randagi - oltre a Gerard, e a Hulot con la sua sgangherata bicicletta - oltrepassano con nonchalance. Questa forte dicotomia è rappresentata brillantemente dalla diversità di suoni e geometrie: cubi, cerchi, rettangoli, e fastidiose sonorità assordanti sono l’essenza dell’emisfero degli Arpel, morbide linee curve e vivaci melodie contraddistinguono invece il pianeta abitativo di Hulot.
Né intoppi, né frenate di ritmo, ostacolano la visione di Mon Oncle, la narrazione funziona infatti come il meccanismo di un orologio svizzero: semplicemente perfetta. Immagini e scene lasceranno la platea a bocca aperta, e lo stupore si farà strada nell’anima dello spettatore fino a riportarlo bambino. Inoltre, nonostante la scarsità di parole pronunciate nel film, i personaggi, grazie all'eccezionale mimica e ai loro tanti gesti, risulteranno più eloquenti di un'enciclopedia.
Ma ciò che colpisce maggiormente, è il fatto che durante l'intera proiezione si respiri una rigenerante atmosfera di libertà e utopia, un viaggio di 110 minuti che non si vorrebbe interrompere mai: mai, se non per entrare nel film e vivere quell’aria di rarefatta anarchia che si avverte fin dai primi istanti… all'apparire del titolo di testa scritto col gesso su di un muro.
Vincitore nel 1959 del Premio Oscar come miglior film straniero, Mon Oncle, a distanza di quasi 60 anni, è di un’attualità sorprendente, un capolavoro di saggezza dove anche il solo ammirare il gioioso vagare degli scodinzolanti amici a quattro zampe induce a riflettere sul percorso intrapreso dall'attuale società. Bellissimo. Emozionante. Divertente… Assolutamente imperdibile.