Marie Heurtin - Dal buio alla luce
Campagna francese, tardo ottocento. Marie Heurtin non vede, non sente, e non parla. Nata e cresciuta presso una famiglia di contadini inadeguati a gestire ed educare una figlia così ‘problematica’, appena adolescente, Marie vive ancora chiusa in un mondo primigenio di istinti animali e rifiuto al mondo. Incapace di comunicare con la realtà circostante, il suo isolamento formale fatto di una gestualità scomposta e inquieta, ha assunto nel tempo la condizione di una profonda solitudine interiore. Affidata alle cure delle suore del convento – dapprima restie a farsi carico di una ragazza sordomuta e anche cieca – la giovane Marie troverà nella determinazione di suor Marguerite (un’anima spiccatamente sensibile) la sua unica salvezza, il suo punto di contatto con la possibilità di apprendere - e comprendere - ciò che la circonda.
Determinata a sciogliere nella ragazza i nodi del suo isolamento, la pia suora si farà infatti strada, seppur molto a fatica, nella fiducia della giovane, inducendola pian piano a comprendere l’importanza di imparare a esprimersi, rivelarsi, essere. Superate le prime durissime prove iniziali (dove anche solo un bagno o una riordinata ai capelli assumeranno il profilo di missioni improbe), Marie si aprirà finalmente a un suo modo di comunicare, parlare. Un modo lento, macchinoso, fatto di gesti ‘toccati’, eppure funzionale. La scoperta di come simboleggiare quelle prime parole (coltello, forchetta, pane) segnerà dunque il varco al (e dal) mondo interiore di Marie, da quel momento in poi sempre più in grado di manifestarsi, veicolare all’esterno le forme del proprio esistere, e percepire. D’altro canto questo rapporto così unico e speciale legherà la ragazza quasi inscindibilmente alla sua maestra, amica e guida spirituale. E quando suor Marguerite sarà costretta in fin di vita dal ‘volere superiore’, sarà per Marie un nuovo ripiombare in un mutismo non solo sostanziale ma anche mentale, in un nuovo rifiuto verso quel mondo che le ruota attorno e che lei (più di tutti gli altri) percepisce e comprende così a stento.
Dal buio alla luce
All’interno del contesto elegiaco della campagna francese del XIX secolo la toccante (vera) storia di Marie Heurtin, ragazza sorda, cieca e muta, prende forma nel ritratto del regista Jean-Pierre Améris (Emotivi anonimi). Con un punto di vista narrativo che richiama alla mente in primis il modello de Il ragazzo selvaggio di Truffaut (e dunque il sottotesto pedagogico d’ispirazione rousseauiano), ma anche la ‘lezione’ del cinema religioso “al femminile”, l’opera di Amèris mette a fuoco in particolare il rapporto, contatto profondo tra due esistenze avvicinate forse (proprio) dal volere divino per far luce sulle loro fragilità corporee (i limiti sensitivi di Marie e quelli innescati dalla malattia per suor Marguerite) a contrasto invece con la forza incredibile della loro anima.
Didascalico e calligrafico per certi versi, e costruito lungo il filo di una sua canonicità narrativa, Marie Heurtin – Dal buio alla luce è opera che si scandisce nel percorso graduale e semplice di quella evoluzione da ragazza ‘selvaggia’ a essere umano ‘adulto’, completo, capace infine di elaborare anche il discorso trascendente sulla vita e sulla morte, sulla conquista e sulla perdita.
Un’opera lineare e ortodossa eppure comunicativa grazie alla spiccata gestualità di cui fa uso, e sostenuta dalla convincente prova di due attrici estremamente ‘generose’ e affiatate (la brava Isabelle Carré nei panni di suor Marguerite e l’esordiente Ariana Rivoire in quelli di Marie Heurtin).