Magic Island: un toccante viaggio introspettivo verso una sofferta catarsi
Il regista di Magic Island la Sicilia la conosce bene. Nato a Palermo nel 1970, Marco Amenta ha infatti dedicato molti dei suoi lavori cinematografici a questa magnifica isola. Le sue opere, tra cui ricordiamo Il fantasma di Corleone, 2005, e La siciliana ribelle, 2009, hanno saputo raccontare egregiamente il volto oscuro di questa magica terra piena di contraddizioni: quello della mafia. In quest’ultimo documentario Amenta si allontana però dai temi sociali a lui tanto cari, e dà vita a un intenso e commovente lungometraggio.
L’occhio discreto della camera da presa ha seguito per quattro settimane il viaggio che il musicista Andrea Schiavelli ha intrapreso – da New York a un piccolo centro nel Parco delle Madonie – per elaborare il lutto della perdita del padre, avvenuta dieci anni prima. Un padre ingombrante quello di Andrea, una figura troppo spesso assente, ma molto amata: l’attore americano di origini italiane Vincent Schiavelli, un volto che dice molto più del nome. Considerato uno tra i più importanti caratteristi del cinema statunitense, basti ricordarne la partecipazione in Qualcuno volò sul nido del cuculo o il ruolo di ‘fantasma della metropolitana’ in Ghost, Schiavelli, alla ricerca delle proprie radici, nel 1995 si era trasferito nel paese dei nonni, quel Polizzi Generosa nei cui pressi era nato il famoso Frank Capra, e che diede i natali anche alla famiglia paterna di Martin Scorsese.
Quando nel 2005, affetto dalla Sindrome di Marfan, vi morirà cinquantasettenne, suo figlio, che viveva con la madre a Los Angeles, aveva soltanto18 anni. Andrea non si presenterà ai funerali del padre, e rinchiuderà il dolore nell’angolo più nascosto della sua anima fino a quando, per questioni ereditarie, non sarà costretto a recarsi sull’isola. Ed è qui che entra in gioco Marco Amenta, che con tatto e delicatezza accompagnerà il giovane Schiavelli lungo un percorso lastricato di sensi di colpa, rimorsi, astio e commozione. La fragilità e sensibilità che trasudano da gesti, espressioni e parole di Andrea arrivano dritte al cuore degli spettatori, e il difficile cammino del musicista, intervallato anche da momenti di pura gioia e ilarità, toccherà argomenti che ognuno di noi sa di dover, prima o poi, affrontare: le parole non dette.
Marco Amenta, quasi fosse uno psicoterapeuta che ascolta senza parlare, segue con attenzione l’intero processo di liberazione dalla situazione conflittuale di cui Andrea riesce finalmente a prendere coscienza. La catarsi finale, che avverrà attraverso una serie di contatti autentici sia con la natura che con l’ambiente genuino delle amicizie paterne, è rappresentata da uno struggente quanto emblematico episodio. Ciò che più sorprende in Magic Island è comunque l’approccio del cineasta palermitano con il protagonista, e viceversa. Il primo si accosta a questa storia con la delicatezza di chi sa di non dover disturbare, il secondo, del tutto a proprio agio, sembra essersi dimenticato della presenza delle telecamere: una grande prova di rispettosa regia. Un plauso particolare va inoltre al montatore Andrea Facchini, che, malgrado le infinite ore di girato, ha saputo magistralmente armonizzare momenti drammatici con sequenze ironiche.
Magic Island è un documentario da non perdere: uno di quei piccoli regali cinematografici capaci di rimetterci in pace con il mondo, a volte superficiale, della Settima arte.