Machiavellica Sloane

Un film dal gusto antico, potremmo dire.
Una di quelle storie fatte di attori e incastri, dialoghi e situazioni abbandonando quella spettacolarizzazione eccessiva, e spesso inutile, che sembra essere la dominante odierna.

Miss Sloane, la protagonista, è una lobbista di primario livello a Washington. Si, perché l’America, il Paese delle liberà, ha anche trovato il modo di legalizzare le mazzette, seppur con qualche volo pindarico.
Benzinai, armaioli, affumicatori e biscottieri persino, tutti riescono a manipolare, o per meglio dire, influenzare la politica in qualche modo, grazie ai loro uomini in piedi accanto a quelli che occupano le poltrone che contano.
E i soldi che si spendono in questi affari potrebbero spostare sensibilmente il PIL di piccoli Stati.
Tutto legale… più o meno.

Miss Sloane è uno di questi ingranaggi, un bel volano potremmo dire, in grado di smuovere più o meno quello che vuole, a dispetto dei modi in cui lo fa’.
Nessuno meglio di lei sembra incarnare il cinismo del Machiavelli, Il fine giustifica i mezzi.
Per questo motivo, una delle organizzazioni da sempre vittima delle lobby, che vorrebbe limitare l’uso di armi negli USA, decide di provare ad assoldare la Sloane, facendogli cambiare barricata, per cercare di bloccare l’escalation di violenza in America.
E così una delle più spietate lobbiste d’America tenterà di trasformare una ONG in una sorta di lobby a “fin di bene”. Peccato che se ti metti contro le Grandi Potenze americane, e la lobby delle armi è forse quella più potente, non solo perdi, ma rischi di rimetterci anche il collo.

Per mettere sullo schermo questa storia dell’esordiente Jonathan Perera, è stato scelto un regista di lungo corso in grado di spaziare su tutti i generi: John Madden (si quello di Shakespeare in Love), a cui bisogna riconoscere sicuramente la capacità di saper far recitare gli attori, e che attori.
Jessica Chastain è Elizabeth Sloane. Algida, austera, inarrestabile, perfetta, sembra nata per la parte.
Intorno a lei ruotano una serie di personaggi incredibili a partire dal suo vecchio “capo”, l’eccezionale Sam Waterston (che avendo fatto Newsroom di Sorkin, si intende di recitazione e dialoghi), Mark Strong, la cui versatilità è sorprendente, l’underdog Michael Stuhlbarg e l’astro nascente di Gugu Mbatha-Raw o il sempre verde, o quasi, John Lithgow.

Grazie a quest’abile miscela riusciamo a fare un viaggio in una delle più grandi contraddizioni americane: un sistema che in nome di una presunta libertà, e del profitto, è pronto a sacrificare la sua stessa sicurezza di base.
Che il film sia un po’ figlio della West Wing di Sorkin e della House of Cards di Kevin Spacey, è abbastanza evidente. La protagonista ha una personalità talmente forte, da risultare spesso la più antipatica della stanza, ma tutto va sempre considerato dalla sua ottica, diversa da quella di tutti gl altri.

Un film piacevole da vedere, che se anche vi impegna più di 2 ore, non ve ne accorgerete.

PS – se vi chiedete come mai questi personaggi si chiamino lobbisti, il termine nasce da “lobby”, atrio, quello dell’hotel Willard di Washington, dove si dice che il presidente Grant tentasse di rilassarsi quando veniva preso di sorpresa da gente che voleva perorare la propria causa