Ma Loute
Estate 1910, Baia de La Slack nel Nord della Francia. Ma Loute è un giovane pescatore di cozze appartenente a una numerosa e sottoproletaria famiglia del luogo (i Brufort), che all’occorrenza arrotonda trasportando in braccio borghesi di ogni stazza ed età che desiderino transitare da un lato all’altro della piccola laguna. Tra i tanti ricchi condotti c’è anche Billie, giovane rampolla dell’aristocratica famiglia dei Van Peteghem. Una combriccola chiassosa giunta da poco sul luogo per trascorrere le vacanze presso la villa di proprietà in stile egizio che domina il promontorio. Due nuclei famigliari (quelli dei Brufort e dei Van Peteghem) ugualmente affacciati sullo splendore di quello stesso golfo, ma con una prospettiva del tutto diversa su quel mondo, legata a doppio filo al proprio status sociale. Perché se i Brufort vivono alla giornata nutrendosi “come possono” e con ciò che “trovano”, i Van Peteghem trascorrono invece la loro ‘decadente’ realtà borghese tra passeggiate, pettegolezzi, e una generale spensieratezza (leggasi superficialità) dettata dal loro status sociale.
Una serie di misteriose sparizioni, intanto, minacciano la tranquillità del luogo e due (non molto scaltri) agenti di polizia stanno tentando di far luce sul caso. Quando, però, un legame nuovo e inaspettato metterà a stretto contatto le due famiglie, mischiando abiti e abitudini differenti, nascerà un confronto spinoso, presto mutato nella realtà di una lotta di classe crudele e inevitabile, e destinato a portare a galla alcuni indicibili segreti che animano la realtà umana del luogo.
Il regista francese Bruno Dumont, esponente della cosiddetta "New French Extremity" (ovvero una corrente francese che predilige nel cinema l’uso di un occhio e uno stile “trasgressivi”, e di cui fanno parte molti nomi noti del panorama internazionale come Marina de Van, Gaspar Noé e perfino François Ozon), porta in scena la Francia subito prima de la Grande Guerra per evidenziare la distinzione tra ceti, i tratti di un classismo decadente ed esasperato, e le brutalità di uno sguardo pregiudiziale su tutto: lo status sociale, i soldi, il sesso e infine anche l’amore. Affidando a un ottimo cast di respiro internazionale (che include Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi) una recitazione spiccatamente e volutamente sopra le righe, con il suo Ma Loute Dumont descrive una borghesia scialba e inetta dove l’umiliazione dell’altro, del più debole, del meno abbiente, è un’arma a doppio taglio destinata a ritorcersi contro con altrettanta (e più violenta) ferocia. Personaggi grotteschi che si fagocitano a vicenda, in un crudele schema di ‘cannibalismo’ morale e reale e senza via di fuga primeggiano in questa commedia sui generis, dove a far ‘sorridere’ non c’è davvero nulla, se non i modi esasperatamente sghembi dei protagonisti.
Un film dove l’impianto surrealista dei modi e dei colori sposa la stravaganza crudele della storia, tornando sul sentiero angusto di un’umanità sempre troppo gretta, ostile, indifferente, feroce, che guarda l’altro (il diverso da sé) con sete di sopraffazione e mai con un moto d’indulgenza o comprensione. Il Ma Loute del titolo (termine che in francese rappresenta l’appellativo tenero per una giovane ragazza) è infine esistenza controversa dai tratti umani e dai modi animaleschi, ragazzo che in qualche modo incarna ogni vizio morale e formale dell’uomo moderno, al pari delle maschere umane che lo circondano. I tempi passano ma l’istinto umano resta strenuamente aggrappato ai suoi demoni perché in fondo l’uomo cambia il “pelo”, ma non il vizio.