L'uomo di neve: Michael Fassbender nel thriller tratto dal romanzo di Joe Nesbø
Harry Hole (Michael Fassbender) è detective d’esperienza e di fama, e i suoi casi risolti sono divenuti col tempo persino materiale di studio all’università. Le sue zone d’ombra e la sua ‘passione’ per l’acol non lo hanno infatti mai privato del suo formidabile intuito, in particolare a servizio nella risoluzione dei casi di scomparsa. A impegnarlo, stavolta e per la sua quarta indagine (la prima a trovare spazio anche sul grande schermo), sarà lo strano caso della misteriosa e ripetuta sparizione di donne, tutte stranamente accomunate da una difficile vita coniugale e da maternità ‘conflittuali’. Ben presto, la scia di sparizioni perpetratesi per le zone innevate della Norvegia, verrà associata alla presenza di un potenziale killer seriale che lascia sempre sulla scena del crimine, e a mo’ di firma, un inquietante pupazzo di neve dal ghigno ben poco rassicurante. Hole dovrà ricucire il filo della storia e trovare il nesso ‘logico’ perso tra le nevi circostanti e nel ghigno di quel pupazzo.
Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del premiato autore norvegese Joe Nesbø, L’uomo di Neve (distribuito da Universal Pictures) diretto dal regista svedese Tomas Alfredson, ritrova la stessa dicotomia bianco/rosso di Lasciami entrare (sempre di Alfredson, 2008), ovvero quelle atmosfere candide e perennemente innevate del grande Nord interrotte da una scia di sangue tutta da seguire e comprendere. L’utilizzo dei luoghi nella loro suggestiva ed eloquente grandezza è ancora una volta parte centrale dell’opera anche se poi a fare da collante sono i risvolti psicologici legati alle sparizioni, e alla personalità di tutti i personaggi in gioco. E sebbene il film riesca in ogni caso a catturare l’attenzione dello spettatore, guidandolo per i meandri di una storia che fa della sofferenza (subita, inflitta, condivisa) la sua chiave di volta, le qualità tecniche (fotografia, regia, attori) qui superano di diverse misure l’architettura narrativa del complesso filmico, non sempre (a onor del vero) capace di scoprire le sue carte al momento giusto .
La dimensione emotiva creata dai luoghi (insieme a un cast nutrito e di indubbio livello tra cui vanno menzionati oltre al già citato Fassbender anche Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Chloë Sevigny, Val Kilmer, J.K. Simmons), infatti, riesce meglio di ogni altra cosa a canalizzare la storia. D’altro canto e come sempre, in una storia che su carta propone senz’altro una complessità notevole dettata dallo scavo psicologico e dal conflitto interiore, l’adattamento per il grande schermo sottende grande insidie. Alfredson riesce a superarne alcune ma non tutte, mettendo a segno un film che ha dalla sua diversi evidenti pregi e qualche limite, e che pur non arrivando ai livelli emotivi del già citato Lasciami entrare e nemmeno a costruire un ingranaggio quasi perfetto come quello de La talpa (2012) riesce in ogni caso a ‘intrattenere’ lo spettatore.