L’uomo del labirinto

Film faticosissimo, ingarbugliato ed anche un po’ pretenzioso, l’opera seconda (al cinema) dello scrittore Carrisi. Se in La ragazza nella nebbia (la prima regia), l’esordio dietro la macchina da presa era stato salutato come una piacevole sorpresa, gli errori del principiante erano colmati da una rarefatta atmosfera di mistero ed inquietudine che ci conducevano fino al sorprendente finale (come ogni buon giallo che si rispetti) qui, la verve registica prende il sopravvento e il lavoro cinematografico finisce per svilire, appesantendolo, quel dato di disperata umanità che colora a tinte forti i personaggi dell’opera.

Proprio questi, cioè i protagonisti, ci appaiono forzati e artificiosi calati in un contesto volutamente delocalizzato, con nomi che sembrano sortir fuori da un fumetto ma che poi, le inevitabili cadenze dei nostri attori, pur bravi, pur a partire proprio da Servillo, finiscono inevitabilmente a provincializzare il tutto. E, immaginatevi, quanto cozzi, nel contesto nostrano, la distintissima (ed altera) figura di Dustin Hoffman che ci appare recitare da un altro mondo, da un’altra dimensione, quasi fosse la fugace apparizione di una stella chiamata a ravvivare un convegno di cardiologi. Ma neanche la partecipazione del divo riesce a risollevare le sorti del film del quale si vive la costante sensazione di prodotto confezionato artificialmente.

Un po’ di plastica, tanto per intenderci. Come la fotografia che ci restituisce colori forti come un urlo di Munch o le scenografie da set teatrale degli anni ’70. Come l’incedere tra ambienti ed epoche con un montaggio che rende davvero faticoso comprendere il dove e il quando di ciò che si racconta. Insomma, il film non convince ed il finale ci lascia più di una perplessità…

Pur non avendo letto il libro, sono convinto che sia molto più bello…