L'uomo che vide l'infinito
“Chi sa fare, fa. Chi non sa fare insegna”, recita il celeberrimo aforisma di Arthur Bloch.
Al Trinity College di Cambridge, invece, le cose andavano esattamente al contrario. I migliori matematici facevano ed i migliori tra i migliori insegnavano perché il sapere, quello adamantino, va diffuso nel modo migliore. Lezione preziosaa che, in Italia, sembra essere stata dimenticata.
Il 14 aprile 1914, all’approssimarsi della Prima Guerra Mondiale, evento catastrofico e devastante che nessuno potè prevedere, dopo un travagliato mese di viaggio, un indiano giunse nella culla del sapere scientifico dell’epoca e, da autodidatta, sconvolse le menti dei migliori teorici del Regno Unito. Aveva soltanto 27 anni ed era in grado di scrivere equazioni e teoremi che soltanto il suo Dio, Namagiri Thayar, poteva aver messo nella sua mente.
Fu soltanto grazie a due scienziati illuminati che il suo genio non andò integralmente perduto, tra il perdurante ed aggressivo razzismo dei britannici bianchi e l’ignoranza dei colleghi invidiosi: Godfrey Harold Hardy (intepretato da uno strepitoso Jeremy Irons) e John Edensor Littlewood (nei cui panni ritroviamo il talentoso Toby Jones – 5 film in uscita nel solo 2016). A portare sullo schermo il più grande matematico della storia dai tempi di Sir Isaac Newton è il sempre più bravo ed ormai star internazionale Dev Patel (The Millionaire, Marigold Hotel, The Newsroom), classe 1990. Il nome del giovane che rivoluzionò per sempre la matematica mondiale, scrivendo equazioni che oggi, a distanza di un secolo (da brividi lungo la schiena), vengono ancora usate per lo studio dei buchi neri…era Srinivasa Ramanujan e L’uomo che vide l’infinito narra la sua storia.
“La matematica pura non è diversa dall’arte. Si tratta di un viaggio di scoperta”, ha rivelato il grandissimo Jeremy Irons in un’intervista a Today (NBC) ed in questa meravigliosa avventura di celluloide le scoperte sono innumerevoli sul lato scientifico, etico ed umano, tra due individui di età, origine, estrazione sociale radicalmente differente ma pronti a legarsi per la vita in quello straordinario rapporto platonico ed altamente intellettuale tra mentore ed allievo che ci ha regalato alcune delle più grandi scoperte dell’umanità.
Basato sul libro L’uomo che vide l’infinito di Robert Kanigel, edito in Italia da Rizzoli (il titolo originale è The Man Who Knew Infinity), il film (presentato in anteprima italiana ad aprile, nella splendida cornice del Bari International Film Festival 2016) ci regala, grazie ad interpretazioni di altissimo livello ed una sceneggiatura di ferro, la più bella visione sul tema dai tempi di A Beautiful Mind di Ron Howard ed il giovane Dev Patel non ha nulla da invidiare al granitico Russell Crowe. Egli ci regala, infatti, un equilibrato quanto caotico mix di John Nash e Will Hunting (per citare l’altro caposaldo del genere, mirabilmente diretto dal maestro Gus Van Sant nel 1997 e premiato con ben 2 Oscar), geniale teppista ribelle che aveva molti tratti in comune con questa indiana mente eccelsa, considerata una delle 5 migliori al mondo. È proprio Kanigel a rivelarci che: “L’uomo che vide l’infinito non è (soltanto) un film su dei matematici ma sul legame potente tra due uomini e di come questo ha poi dato forma alle loro vite”.
C’è anche del sangue italiano in questa bellissima produzione: la veterana Luciana Arrighi (classe 1940), Premio Oscar per la Miglior Scenografia 1993 per Casa Howard di James Ivory che vinse ben 3 statuette quell’anno. Oltre alla succitata: Miglior Sceneggiatura Non Originale e Miglior Attrice ad Emma Thompson: “Girare al Trinity è stato molto interessante perché prima d’ora non era mai stata data l’autorizzazione a girare al suo interno. La prima volta che siamo andati a visitarlo, ci è stato spiegato in maniera molto chiara che andava evitata la situazione da colossal hollywoodiano. Alla fine, comunque, sono stati tutti deliziosi, incluso il preside e i professori che si sono dimostrati molto interessati alla storia ed al mantenere il legame tra l’India e l’Inghilterra. […] Ramanujan era un Bramino molto rigido e riceveva la sua ispirazione dalla dea Namagiri. Abbiamo dunque dovuto trovare un tempio dove lui andava a pregare ed un tempio dove scriveva tutte le sue equazioni sul pavimento. Andare alla ricerca dei templi è stato eccitante; ci siamo resi conto che un tempio non è solo un luogo di preghiera ma un luogo dove la gente vive”.
Menzione speciale per l’intensa scena (molto Attimo fuggente) in cui Irons-Hardy rivela a Patel- Ramanujan qual’è il fine ultimo, il desiderio segreto di un matematico: lasciare traccia tangibile del proprio passaggio sulla Terra nella Wren Library, la biblioteca scientifica più speciale d’Occidente, quella che serba le Lettere di San Paolo, i poemi di Milton, il manoscritto dei Principia Mathematica di Newton ed oggi anche il Quaderno Dimenticato di Ramanujan (scoperto postumo). Come per l’immenso Nikola Tesla, nato 31 anni prima, nel 1856, siamo di fronte a due uomini dell’800 che hanno, in modo inspiegabile ed unico, tracciato la via che 7.427.705.418 persone (in questo istante) percorrono ancora oggi…grazie a loro.