L'Uomo che non cambiò la storia
Era il 6 Maggio 1938, e Roma si apprestava a vivere la sua giornata particolare. Già, perché Hitler arrivava nel Bel Paese con il suo codazzo composto dalle figure più importanti del regime nazista: Hermann Göring, il delfino del Führer Rudolf Hess, il Reichsführer-SS Heinrich Himmler, il Dr. Joseph Goebbels e sua moglie Magda, oltre a numerosi gerarchi e funzionari di primo piano del partito nazionalsocialista. Per quell’occasione spettò ad Achille Starace, l’allora Segretario del Partito Nazionale Fascista, tirare a lucido la Città Eterna. Fu così che Roma si trasformò in un enorme set a cielo aperto, dove cartapesta, teloni, bandiere e fasci, ricoprirono le meraviglie storiche per simulare restaurazioni inesistenti. Tutto era dunque pronto, ma chi avrebbe fatto da cicerone a colui che si riteneva un grande artista? La scelta ricadde su un archeologo storico dell’arte che parlava il tedesco fluentemente, apparteneva a una famiglia nobile, e a quei tempi insegnava all’università di Pisa: Ranuccio Bianchi Bandinelli, l’uomo che non cambiò la storia.
Il docu-film di Enrico Caria, presentato alle Giornate degli Autori nella 73ma Mostra del Cinema di Venezia, è un regalo per gli spettatori: il passato che si trasforma in un piccolo gioiello montato alla perfezione su un filo non di perle, ma di umorismo e tecnica. Il regista, romano di nascita ma napoletano e calabrese di cuore, non dimentica infatti le sue origini di vignettista satirico, e miscelando la giusta dose di ironia con filmati storici dell’Istituto Luce, realizza un cocktail davvero ben riuscito.
L’uomo che non cambiò la storia - prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà e tratto dal racconto dello stesso Bianchi Bandinelli Hitler e Mussolini, 1938. Il viaggio del fuhrer in Italia - narra i pensieri intimi e sovversivi di colui che controvoglia fece da guida artistica ad Hitler e Mussolini: un antifascista, seguace dell’ideologia di Benedetto Croce, che ipotizzava di eliminare in un sol colpo i due dittatori.
Nonostante tutti sappiano come andò a finire la storia, durante la proiezione la suspense aumenta di fotogramma in fotogramma, quasi si stesse assistendo a un thriller in bianco e nero degno dei migliori registi del genere “giallo”. Ma, al di là dell’inaspettata e piacevolissima chiave noir, il grande pregio di Caria è soprattutto quello di avere fatto conoscere al pubblico un personaggio estremamente interessante. Bianchi Bandinelli, seppur ossessionato dall’idea di poter organizzare un attentato, si renderà ben presto conto di non esserne capace, ed è da quel momento che tutta la sua attenzione si rivolgerà all’analisi dei due statisti. Grazie alle irriverenti e sarcastiche parole del professore universitario, sovrapposte a immagini di repertorio, viene mostrato allo spettatore un ritratto grottesco di coloro che di lì a poco avrebbero incendiato il mondo. Il dipinto che ne esce è quello di due alunni in gita scolastica gelosi l’uno dell’altro, dove davanti ai capolavori di Roma e Firenze daranno sfogo alla loro vera natura: due megalomani distanti anni luce dal poter comprendere la bellezza che hanno di fronte.
Ma, se è pur vero che Bianchi Bandinelli non riuscì a salvare il pianeta dalla Seconda Guerra Mondiale, con L’uomo che non cambiò la storia Caria da voce alla rivincita dell’archeologo cicerone, che con le sue spassose descrizioni mostra il contrasto tra la vera bellezza del nostro patrimonio artistico e la figura imbolsita e annoiata di Mussolini accompagnata dalla sicumera con cui Hitler si professava un grande artista amante del bello. La grettezza di colui che mise al bando le opere di Van Gogh, Chagall, Picasso e molti altri ancora, appare per 77 minuti in tutta la sua tragica forza: la mediocrità di un uomo meschino e ingannatore contro l’immortalità dell’arte.
Intrecciando spezzoni dell’Istituto Luce con gli splendidi disegni di Spartaco Ripa e con alcune scene tratte dal capolavoro Roma Città Aperta, Enrico Caria - aiutato dall’impeccabile lavoro al montaggio di Fabrizio Campioni - dimostra che l’originalità passa anche attraverso il recupero di vecchi materiali e la capacità di saperli rinnovare. La colonna sonora aggiunge inoltre un ulteriore tocco bizzarro, i brani di Pivio, Aldo De Scalzi, e Daniele Sepe sono infatti un perfetto e potente commento musicale alle immagini.
"Roma di travertino / vestita di cartone / saluta l' imbianchino / che arriva da padrone". E’ così che la statua di Pasquino, rimasta in silenzio dal 1925, accolse la visita di Hitler: già, il popolo ha sempre ragione.