L'Ultima Parola - La vera storia di Dalton Trumbo

Quanti tra voi hanno sentito nominare Dalton Trumbo? E quanti invece Vacanze Romane? La risposta pare scontata, eppure Dalton Trumbo fu colui che scrisse quel capolavoro che rese famosa Audrey Hepburn in tutto il mondo. E allora, come mai quasi nessuno ricorda quel nome? Per capirlo basta fare un salto indietro nel tempo. 

Nel 1947, in piena Guerra Fredda e con la paura della “minaccia rossa” alle porte, il Congresso degli Stati Uniti istituì il Comitato per le attività antiamericane, presieduto dall’allora senatore Joseph McCarthy. Quella Commissione, lavorando con zelo fino alla metà degli anni cinquanta, suscitò nel Paese un pesante clima di sospetto verso migliaia di cittadini americani ritenuti colpevoli di essere simpatizzanti comunisti. Hollywood, con il suo corposo humus di migranti europei in fuga dal fascismo, fu investita in pieno dalla bufera maccartista che portò nell’occhio del ciclone anche il brillante sceneggiatore Dalton Trumbo.

Ne L’Ultima Parola, Jay Roach ritrae Trumbo come un uomo eccentrico, combattivo e forte delle sue convinzioni che, a differenza di altri, non tradì mai i suoi ideali di libertà. Durante quegli anni le purghe anticomuniste colpirono stelle di prima grandezza che inizialmente lottarono in difesa dei propri diritti, ma poi, con il passare del tempo e per le troppe pressioni mediatiche, finirono col collaborare e rivelare i nomi dei presunti “traditori rossi”. Fu così che Dalton, insieme ad altri nove colleghi, entrò a far parte dei famosi Hollywood Ten: la lista nera della mecca del cinema.

Uno dei meriti di Roach è quello di avere riportato alla memoria di alcuni, e fatto conoscere ad altri, uno dei momenti più vergognosi della storia americana: un periodo in cui la democrazia oscillò pericolosamente anche in uno Stato liberale come quello degli USA. Nonostante l’anno di carcere e il boicottaggio da parte delle Major, Trumbo lavorò comunque sotto falso nome ottenendo ben due Oscar, uno dei quali proprio per Vacanze Romane. Ciò che il regista mette abilmente in scena, però, non è solo la biografia meticolosa - e certamente affascinante - di un individuo particolare, ma soprattutto l’esempio di quanto la forza di carattere sia indispensabile per combattere un sistema errato: un’istituzione malata e cieca oltre ogni logica.

Ma, il pregio maggiore del film, sta nel perfetto equilibrio tra humor e dramma: Roach regala infatti al pubblico momenti esilaranti alternati a scene di forte pathos. Il suo è un approccio allegro e spumeggiante dove, con abbondanti agili dialoghi e altrettante situazioni comiche, riesce a compensare egregiamente la grigia atmosfera da caccia alle streghe. L’Ultima Parola, un’opera vivace tratta da un soggetto molto serio, non è tanto un lavoro politico quanto un inno alla libertà di parola, e non solo. La fotografia è notevole, le ambientazioni magnifiche, la colonna sonora coinvolgente e la sceneggiatura solida: un film, insomma, assolutamente da vedere grazie anche al formidabile Bryan Cranston, un temibile rivale per Leonardo di Caprio in odore di statuetta d’oro.

Ecco dunque chi era Dalton Trumbo: l’uomo che sfidò l’ottusità politica di John Wayne e Robert Taylor, perdonò il tradimento di Edward G.Robinson e ottenne l’ammirazione di Kirk Douglas e Otto Preminger. Nessuno ha il diritto di dirti come scrivere, agire, parlare, pregare, votare, protestare, amare, lavorare oppure pensare. Dalton Trumbo/Bryan Cranston, L’Ultima Parola.