L’Ospite – L’amore incompiuto nella società liquida di oggi
Guido (un Daniele Parisi perfettamente in parte) ha 38 anni e convive con Chiara (Silvia D’Amico), che ne ha 33. La loro è una coppia tranquilla, ma forse non del tutto felice e “realizzata”. Così un giorno, dopo un rapporto sessuale e un preservativo rotto, la possibilità o meno di andare incontro a una gravidanza porterà alla luce tutti i problemi di stabilità e “prospettive” della coppia. In particolare, Chiara manifesterà le sue incertezze sul rapporto, alimentate anche dalla possibilità di avere finalmente un’opportunità di mettere a frutto i propri studi con un lavoro più vicino ai propri sogni, anche se in Canada.
Fotografia profondamente amara anche se piuttosto realistica degli adulti non più così giovani di oggi (30enni e 40enni) nel costruire relazioni che durino nel tempo e siano in grado di ammortizzare difficoltà, dubbi e incertezze della vita, L’ospite di Duccio Chiarini (alla sua opera seconda dopo Short Skin) è un film piccolo ma toccante, frutto di un’osservazione molto accorta della società liquida e fondamentalmente sfuggente in cui viviamo.
L’immagine dell’amore incompiuto perfettamente in linea con la precarietà dei nostri tempi. E così, da una casa all’altra, da un divano all’altro, da un amico all’altro, il protagonista Guido diventa ospite e (suo malgrado) anche testimone delle tante intemperie che attraversano le vite di chi lo circonda. Da chi colleziona amori con il solo scrupolo del giorno settimanale in cui portarli al capolinea, passando per chi è incinta ma forse della persona sbagliata, per finire con chi (i suoi genitori, gente di un’altra generazione che le cose le “riparava e non le buttava”, appunto) ancora cerca di tenersi insieme nonostante le tante fratture accumulate nel tempo. Con il cuore a pezzi e in cerca di conforto, Guido si troverà così a dover lui ascoltare e confortare il prossimo, dovrà intraprendere un percorso di presa di coscienza che forse lo porterà a vedere quella rottura come una possibilità e non come la fine di tutto, a elaborare il dolore per fare quel salto di qualità nella sua identità di uomo. Eppure non è facile. Perché quando ci si lascia, specie alla soglia dei 40 il consuntivo da fare è doloroso e oneroso, anche se è poi un imprescindibile passaggio verso quell’ulteriore maturazione umana ed emotiva.
Attraverso un protagonista che potremmo definire passivo, abituato a incassare i colpi della vita quasi senza reagire, uomo silenzioso, comprensivo, accomodante, e quasi mai in rottura con il mondo esterno, Chiarini porta alla luce la difficoltà di essere adulti e stabili in un mondo che di adulto e stabile ha ben poco, e dove tutto sembra girare senza una reale logica o consapevolezza. Nel girovagare rassegnato tra luoghi e situazioni varie di disagio e alienazione, L’ospite evidenzia infatti proprio quella marcata sensazione di alterità delle vite di oggi, quella percezione a volte affiancata da un dolore lancinante di vivere forse vite non nostre, o semplicemente vite che non avremmo voluto tali. Infine, un film piccolo che raccoglie insieme grandi riflessioni sugli affanni di vita contemporanei.