Loro 2: L’iperbole sorrentiniana prestata a una riflessione centrata e malinconica sul tempo che passa spazzando via ogni cosa tangibile
Se Loro 1 - primo capitolo del dittico filo-berlusconiano firmato Paolo Sorrentino - era l’incipit narrativo, l’antefatto sociale di quel “Loro” goliardico adibito e ostentato in un tripudio di corpi nudi, sesso, droghe e disinibizione diffusamente offerta al potere, in Loro 2 il regista napoletano Premio Oscar per La grande bellezza si ritira a una riflessione più intima e seriosa sulla decadenza: dell’uomo, della società e dell’esistenza in generale. Esaltato nella sua idea di self made man e afflitto dalle ombre di un potere/successo che sembra non essere più a portata di mano (mancano sei restii senatori per agguantare la presidenza del consiglio), il Berlusconi di Toni Servillo (ancora una volta in un ruolo che lo vede protagonista assoluto della scena) sprigiona in Loro 2 la malinconia patetica e nostalgica di chi sa di aver chiuso la propria partita, ma ancora si affligge a cercar l’ultimo goal del defunto successo. Antieroe sul viale del tramonto quasi snobbato dalla politica, perentoriamente lasciato dalla moglie Veronica (con la quale avrà più di un acceso ed epifanico confronto) e rifiutato perfino da una ragazzina qualsiasi che lo liquiderà con l’appellativo di “nonno”, il Berlusconi-Servillo di Loro 2 attutisce con le proprie mirabolanti doti di venditore e incantatore i tormenti di uno stato di cose che a ben guardare ha a che fare solo con la vecchiaia, l’epilogo, e che di certo non è scintillante come un tempo.
La mega villa in Sardegna addobbata di ogni ben di Dio con annesso vulcano telecomandato – che a nessuno interessa più vedere - diventa quindi nient’altro che una gabbia dorata su cui far scorrere le lacrime di una dimensione che di reale ha davvero ben poco. Un circo umano fatto perlopiù di cortigiane, saltimbanchi e impostori. Un mondo popolato di esistenze che non sono mai entità reali, ma piuttosto la versione contraffatta di quello che vorrebbero e comunque non riescono a essere. Un mondo in bilico tra desiderio e immaginazione, tra velleità e disincanto che in questo secondo capitolo disvela appieno il concetto di quel “tutto che non è abbastanza”, di una ossessiva rincorsa alle cose che di contro non porta mai a nulla, anche perché lo scorrere del tempo e della Vita poi riassegnano a ogni comparsa il suo vero volto, e rigettano ogni slancio di notorietà in un’ombra di anonimato. Un mondo dove perfino Lui torna e essere lui.
Le conseguenze del potere
In Loro 2 Sorrentino alza l’asticella e con una scrittura ficcante e sagace (firmata ancora una volta a quattro mani dallo stesso Sorrentino insieme a Umberto Contarello) politicizza ancor di più la sua voce registica costruendo, attraverso un uso più che funzionale del sarcasmo e dell’allegoria, il perfetto epilogo del suo sguardo sull’uomo, sulla politica, sul potere, su una società che appare a tratti mostruosa e per molti versi lo è davvero. Uno sguardo che sembra tirare in ballo volti e nomi noti ma che in realtà poi assume un tono e una voce universalizzante, elucubrazione sistemica sul malcostume e sugli ingranaggi del potere associati perlopiù all’immagine e all’apparenza. Sistemi che di fatto favoriscono sempre la forma al contenuto lasciando però poi a marcire sotto la superficie dell’acqua ogni debolezza, e fragilità dell’uomo. Un mondo dove ognuno può avere il suo minuto di gloria (grande fratello docet), ma dove tutti alla fine tornano alla propria tormentata e negletta solitudine.
Servillo-Silvio primeggia come non mai nei panni (qui più scuri, dimessi, rispetto al primo capitolo) del self made man per eccellenza, un uomo che ha saputo r(aggirare) tutto e tutti con le sua abilità comunicative, con la sua contraffazione della verità. E non è un caso, infatti, che Loro 2 si apra quasi subito su uno degli scambi dialettici più ficcanti e divertenti che il cinema di Sorrentino ricordi, ovvero una serrata discussione tra Berlusconi e il suo alter ego Ennio Doris (un Servillo bis con inusuali occhi chiari) incentrata sul concetto di convincimento e auto convincimento a suon di elogi e auto elogi.
Degna chiusura di un’opera dal doppio volto e dalle mille personalità, Loro 2 abbraccia appieno lo stile sorrentiniano più corrosivo e funzionale, quello in cui i personaggi trascendono le immagini filmiche per farsi veri e propri simboli di qualcosa, qualcuno, di quell’entità superiore o leviatano che sempre anima le nostre esistenze. E allora il rimando a Dio, alla catastrofe del terremoto de L’Aquila e alla chiusura con la deposizione della statua del Cristo (un’immagine assai simbolica che ricorda da vicino la ‘deposizione’ del Titta di Girolamo in Le conseguenze dell’amore) intervengono a suggellare quel rapporto stretto tra realtà e allegoria, cronaca e onirisimo, e che sono da sempre alla base della cifra stilistica di Paolo Sorrentino. Una cifra che qui ritroviamo fresca e senz’altro in una delle sue vesti migliori.