Lights out – Terrore nel buio
Senza perdere tempo, il prologo del primo lungometraggio diretto dallo svedese David F. Sandberg si svolge all’interno di un magazzino di tessuti in cui lavora il Paul con le fattezze di Billy”Twilight”Burke, dove non tarda a manifestarsi in forma di inquietante silhouette una tanto misteriosa quanto minacciosa creatura che sembrerebbe essere visibile soltanto quando le luci sono spente.
Il Paul che scopriamo quasi subito essere padre della giovane Rebecca e del suo fratellino Martin, ovvero la Teresa Palmer di Warm bodies (2013) e il Gabriel Bateman di Annabelle (2014), entrambi costretti a trovarsi ad avere a che fare proprio con quella che si rivela una sempre più pericolosa entità demoniaca.
Entità in realtà legata al passato della madre Sophie alias Maria Bello e che porta, a quanto pare, il nome di Diana, ma nei confronti delle cui caratteristiche gli spettatori maggiormente attenti a tutto ciò che viene sfornato dalla celluloide dell’orrore non faticano ad avvertire una certa sensazione di già visto.
Del resto, di mostruosi esseri capaci di agire e di procurarsi vittime esclusivamente attraverso le tenebre se ne sono nati non pochi nell’ambito del grande schermo; a cominciare dalla sfigurata fata dei denti protagonista di Al calare delle tenebre (2003) di Jonathan Liebesman, con la quale colei che qui si nasconde nel buio condivide in maniera evidente anche diverse similitudini per quanto riguarda la sua genesi.
E non parliamo del fatto che, man mano che i fotogrammi avanzano e che la narrazione si evolve con incedere piuttosto lento, risulta quasi impossibile non intuire che, in fin dei conti, non si discostino molto da una ennesima variante kruegeriana i circa ottanta minuti di visione prodotti dal malese James Wan, regista di Saw – L’enigmista (2004) e de L’evocazione – The conjuring (2013).
Ennesima variante che, però, proprio come tutte le altre che l’hanno preceduta nel tentativo di dar vita ad un nuovo boogeyman che fosse in grado di eguagliare il mitico Freddy dagli artigli di lama incarnato da Robert Englund, non appare altro che piuttosto priva di innovativa fantasia nella sua idea di fondo... e, di conseguenza, adatta soltanto a profani del genere che si accontentano di cupe atmosfere e qualche balzo dalla poltrona garantito dal sempreverde utilizzo del sonoro per andare in cerca di facili brividi da serata estiva in sala.