Leto: Il russo Kirill Serebrennikov in concorso a Cannes con un’opera sulla Libertà, innervata di follia, musica, politica e sentimento

Leningrado primi anni ’80. Estate. La scena musicale rock è in fermento e tra i tanti musicisti con il sogno di sfondare c’è anche Viktor, futuro leader di quello che sarà il celebre gruppo dei Kino. In un contesto vibrante e rivoluzionario, l’incontro del giovane musicista con il già affermato Mike e la sua bellissima moglie Natasha determinerà svolte fondamentali nel suo percorso umano e artistico. Un’estate per sciogliere i nodi di un talento e di una felicità che spesso appare a portata di mano ma che ben più spesso si nasconde dietro scelte sofferte di altruismo e amore per il prossimo.

Dopo il cupo Parola di Dio (2016), il regista russo Kirill Serebrennikov presenta in concorso a Cannes 2018 Leto, ovvero Estate, una carrellata eccentrica e nostalgica sviluppata tra musica, follia, amore e politica. L’avvio del film, lento e non facilmente decifrabile, è tra canzoni suonate in spiaggia e al crocevia di giovani affamati tanto di musica quanto di vita. Una prima parte che monta lenta nel tentativo di presentare i protagonisti della storia e gettare le basi del discorso musicale e amoroso al centro del film, e che poi lascia il campo a una seconda parte dove l’opera scioglie i nodi tanto della sua cifra stilistica quanto dei suoi contenuti.

In un cocktail adrenalinico ed eterogeneo di musica, inserti animati, sentimenti e passioni, Leto trova infatti nella seconda parte il giusto passo per concentrarsi sul suo fuoco, ovvero la dimensione socio politica di una generazione in lotta con e per i propri sentimenti e le proprie passioni. Immortalati in una bellissima fotografia in bianco e nero (a cura di Vladislav Opelyants) che restituisce il tratto nostalgico del momento storico in questione così come una stagione di vita universale, i giovani di Leto vivono e lottano all’interno di una dimensione musicale che abbraccia e supera quella amorosa lasciando intatti i valori e l’importanza di ciò in cui si crede. Il triangolo artistico e amoroso composto da Mike, Viktor e Natasha diventa così più che un vertice di scontro quasi un rifugio dove ritrovarsi tutti, coltivare la capacità non troppo comune di custodire amori e passioni senza farsi sopraffare dalla smania di protagonismo, dalla gelosia, dal rancore, ma lasciando sempre agli altri, e soprattutto a chi si ama, la libertà di fare le proprie scelte.

Leto costruisce dunque un triangolo umano in cui a dominare non sono le scelte fatte ma la Libertà concessa al prossimo, dove esiste la capacità di aiutare l’altro anche quando può rivelarsi un pericoloso rivale, e dove le passioni – tutte – sono elementi che condizionano quasi solo in segno positivo. In questa seconda parte di raccordo serrato tra immagini, idee e tematiche l’opera di Serebrenikov spicca il volo e va verso un climax emozionale che trascina lo spettatore nell’emotività (anche musicale) del racconto, nelle sonorità travolgenti, e in quella sorta di psichedelia sensoriale a metà tra amore e follia che è poi la cifra stilistica del film.

Biopic atipico che si muove sornione abbracciando a un tempo politica e sentimento, e dedicato infine “a tutte le persone che amiamo”, Leto rivela nelle sue piccole imperfezioni e nella sua travolgente passione la marcia in più di un regista in grado di passare dalla cupezza esemplare di Parola di Dio alla creatività insubordinata di quest’ultimo film. Una creatività che poteva facilmente uscire dal tracciato e che è invece tenuta magistralmente a bada da una regia che sa dove e come muoversi per disegnare, lungo le oltre due ore di film, il tracciato dell’emozione. Un’opera che parte in sordina e a cui bisogna lasciare il tempo e lo spazio necessari per rivelarsi.