“Le donne e il desiderio” nella Polonia post-comunista di Solidarnosc

Che i festival cinematografici non siano vetrine commerciali è innegabile, basti pensare ai tanti titoli vincitori di prestigiosi premi che in Italia non hanno trovato distribuzione, o la cui permanenza in sala, se proiettati, non è riuscita a superare i tre giorni. Una conseguenza, questa, del fatto che le giurie specializzate tendono - giustamente - a difendere quei film d’autore sempre più penalizzati da un mercato interessato esclusivamente ai possibili guadagni di botteghino. Schiacciati dalle multisale e dai film in 3D, i cinema d’essai, dove si possono ammirare opere avulse alla legge dei blockbuster, si stanno via via estinguendo con il risultato di lasciare orfani della Settima arte una gran fetta di spettatori. E’ però anche vero che a causa di una forte autoreferenzialità alcuni lungometraggi cosiddetti d’autore sfiorino l’indigeribilità da parte di qualsiasi pubblico, come succede con Le donne e il desiderio, scritto e diretto da Tomasz Wasilewski, che al Festival del Cinema di Berlino 2016 ha ottenuto l’Orso d’Argento per la Miglior Sceneggiatura.

Il trentaseienne cineasta polacco, considerato in patria un enfant prodige, nel suo terzo lavoro prova a raccontare la voglia di cambiamento che si insinua in quattro donne nella Polonia del 1990. Questo seppur lodevole tentativo frana purtroppo sotto il peso di un linguaggio cinematografico che vorrebbe chiamarsi innovativo, ma che ricorda molto da vicino lo stile scandinavo utilizzato 20 anni or sono dal vecchio Dogma 95. Assistere alla proiezione di Le donne e il desiderio è infatti come vivere un continuo déjà vu dovuto sia a una struttura narrativa già vista, che all’esposizione di tematiche stantie e fuori tempo. Se poi a questo si aggiungono le numerose inquadrature fisse, i rarefatti dialoghi, il montaggio volutamente non alternato e la fastidiosa, quasi inspiegabile morbosità nel mostrare corpi nudi, il lavoro di Wasilewski si traduce in una difficile quanto estenuante digestione visiva.

Il film racconta le vicende di: Agata, giovane madre infelicemente sposata e segretamente innamorata di un prete; Iza e Marzena, due sorelle di cui la prima è una gelida preside amante del padre di una studentessa, e la seconda un’ex reginetta di bellezza ora istruttrice di fitness; Renata, insegnante avanti con gli anni che nutre una forte attrazione per Marzena. Attraverso le frustrazioni e i desideri proibiti delle protagoniste, il filmmaker di Torun mette in scena la non facile strada verso la libertà decretata con il crollo del muro di Berlino. Ma la ricerca spasmodica di immagini ad effetto, i potenti primi piani su volti privi di sorriso, il grigiore della fotografia che rende a perfezione la squallida atmosfera in cui i personaggi si muovono, il tema della religione in era post-comunismo e quello della sessualità repressa che può ormai trovare sfogo, sono tutti elementi che nonostante denotino sia una notevole abilità tecnica che grande cura nello script, a causa di un’eccessiva dilatazione ritmica e di un'esagerata freddezza narrativa non sempre riescono a catturare l’attenzione dello spettatore.

Lontano dalle opere del mitico Kieslowski, Le donne e il desiderio, pur avvalendosi di un convincente cast artistico, appare un prodotto a tratti pretenzioso, davanti al quale - forse - anche i palati più fini potrebbero storcere il naso.