Lamb: Indagine sul confine tra uomo e natura nell'Islanda incontaminata
Nella profonda Islanda rurale, una coppia scopre che nel proprio fienile è accaduto qualcosa di estremamente insolito: la nascita di un agnello molto speciale. Maria e Petur si adattano rapidamente e positivamente a questa situazione, ma l’equilibrio instabile viene presto scalfito da presenze interne ed esterne molto perturbanti.
Il film di esordio di Valdima Jóhannsson è diventato molto rapidamente un piccolo caso cinematografico: è stato premiato al Festival di Cannes (74a edizione) ed è una specie di cult negli Stati Uniti. Questo non sorprende, perché nella sua raffinata semplicità Lamb riesce a toccare quelle corde primordiali che spingono a interrogarsi su un quesito essenziale: cosa voglia dire esseri umani. Si tratta di uno di quei rari casi in cui scrittura, regia, direzione della fotografia, montaggio e (non da ultimo) interpretazione, convergono a una messa in scena che va ben oltre le immagini, ben oltre le parole. Quando questo speciale sodalizio diviene perfetto, il cinema non è più un semplice racconto, ma un'esperienza vera e propria.
In effetti, benché Lamb si disponibile a diverse letture simboliche (se non addirittura psiconalitiche), si potrebbe vedere come una meditazione su cosa sia il naturale e cosa sia l’umano. Dove si uniscono questi due fenomeni, dove si disgiungono? Esiste una sorta di cerniera in cui non è possibile distinguere l’uno dall’altro? E se alla fine si riesce a rinvenire una distinzione, quale direzione prende questo oggetto, quello della “natura”, o quello dell’”umanità”? Inoltre, ultima domanda, siamo sicuri che ciò che è natura sia sempre buono e quello che è umano sia sempre terribile, quando i due attributi sono chiaramente intercambiabili a seconda del punto di vista? In effetti è proprio l’inversione del punto di vista a essere uno degli aspetti più interessanti di questo film, specialmente nella parte iniziale, in cui spesso siamo relegati a una visione dal basso, quasi una soggettiva animale, in cui lo sguardo dello spettatore è forzatamente omologato allo sguardo non umano. C'è non a caso una grande insistenza nel mostrare gli occhi, sia umani che non umani, che rivelano la stessa espressività, lo stesso bisogno di raccontare la propria storia, di rappresentare senza parole e senza suono la ricchezza del proprio universo interiore.
Lamb è fatto di equilibri che vengono spezzati continuamente e la sua suddivisione in capitoli prelude all’incrinatura di un qualcosa che fino a quel momento sembrava una realtà granitica e immutabile. Ci sarà un modo di ricomporre una sorta di ordine “naturale”, e potrà mai essere del tutto indolore? Eppure il tema non è una contrapposizione tra modernità e modi antichi, perché sotto traccia c’è un tema ancestrale, fiabesco, che ha molto a che fare con il prezzo da pagare per una trasgressione contro l’ordine costituito, umano, divino o “naturale”.