L'abbiamo fatta grossa
Prima ancora di vedere in scena Carlo Verdone intento a scrivere un racconto seduto su una panchina e, successivamente, impegnato nel divertente recupero di un gatto all’interno dell’abitazione di una famiglia alle prese con una festa di compleanno, abbiamo Antonio Albanese che, sul palco di un teatro, dimentica le proprie battute.
Problema che scopriamo essergli portato dal trauma per la separazione, in quanto non tarda a rivolgersi allo squattrinato investigatore cui concede anima e corpo proprio il regista e interprete di Bianco, rosso e Verdone (1981) e Sotto una buona stella (2014); il quale, posto qui – come di consueto – anche dietro la macchina da presa, ha il compito di procurargli prove dell’infedeltà dell’ex moglie Clotilde Sabatino.
Un incontro che segna soltanto l’inizio di una tanto pericolosa quanto comica avventura che, in maniera fin troppo simile a quanto accadde a Jim Carrey e Jeff Daniels in Scemo & più scemo (1994), li trova costretti a pagare le conseguenze dell’”accidentale” impossessamento di una valigetta contenente un milione di euro.
Valigetta alla cui ricerca, ovviamente, si mettono presto i molto poco raccomandabili proprietari; man mano che, tra un’apparizione per lo storico cineasta Giuliano Montaldo e una del caratterista Lallo Circosta, arricchiscono il cast il Massimo Popolizio di Romanzo criminale (2005) e la Francesca Fiume di Si vis pacem, para bellum (2016).
Quest’ultima orientale ma caratterizzata da un esilarante accento da capitale italiana e che, di conseguenza, non può contribuire altro che ad alimentare la grottesca romanità tipica delle commedie verdoniane.
Romanita che, purtroppo, tra un incontro con un gelataio e una gag che coinvolge un operatore ecologico, comincia in questo caso a mostrare la corda, testimoniando ulteriormente la debolezza di uno script – a firma dello stesso Verdone insieme al fido Pasquale Plastino e al Massimo Gaudioso sceneggiatore di Benvenuti al Sud (2010) – tendente a peggiorare in maniera definitiva nell’improponibile conclusione condita forzatamente di indigeribile epilogo finto-amaro.
Anche se le occasioni per ridere – dal momento in cui i protagonisti si spacciano per gay agli equivoci in un solarium, senza dimenticare i tentativi di apertura della valigetta – non risultano assenti e l’intesa di coppia da schermo tra Mr. Borotalco e il Cetto La Qualunque nazionale non passa affatto inosservata... magari da sfruttare, poi, per una più riuscita operazione insieme.