La Testimonianza, originale riflessione sulla ricerca della verità legata all’Olocausto
Come si può riuscire a rappresentare l'irrappresentabile? Ecco, questa è una di quelle domande che inevitabilmente affiorano alla mente di chi è in procinto di vedere un film che tratti il doloroso tema della Shoah. La risposta a tale domanda è scontata: è impossibile. Eppure, nonostante ciò, il ruolo del cinema è stato fondamentale - e oggi lo è ancor più a causa della ineluttabile, progressiva scomparsa degli ultimi testimoni oculari -, sia per la diffusione di eloquenti immagini riguardanti quell’indicibile abominio perpetrato ai danni di un intero popolo, e non solo, che per la difesa della memoria storica. Sì, perché l’essere umano ha purtroppo un brutto vizio di fabbricazione: il dimenticare con troppa facilità. Ben vengano quindi quelle opere che, seppure non perfette, ‘costringano’ al ricordo, come appunto La Testimonianza, lungometraggio d’esordio scritto e diretto dall’israeliano Amichai Greenberg.
Figlio di genitori sopravvissuti entrambi all’Olocausto, il regista ebraico sceglie di narrare un dramma complicato interrogandosi sul reale valore dell’identità e sul concetto di verità assoluta. Greenberg non racconta infatti una storia che si snoda all’interno di campi di concentramento o ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, dove attraverso la descrizione della tragedia sarebbe stato inevitabile e fin troppo facile mettere in scena la sofferenza di chi visse quell’orrore, ma preferisce ambientarla nella Gerusalemme dei giorni nostri: Yoel (Ori Pfeffer) è uno storico, nonché ebreo ortodosso, che si trova a combattere una battaglia legale contro le autorità austriache affinché la verità su un eccidio compiuto nel 1945 in un piccolo paese dell’Austria venga riportata a galla. Le sue indagini lo porteranno però a scoprire un doloroso segreto sulla propria madre (Rivka Gur), ed è allora che tutte le sue più inattaccabili convinzioni si sgretoleranno come castelli di sabbia sommersi dall’alta marea…
Prendendo spunto da un massacro realmente avvenuto a Rechnitz, e inserendo le autentiche testimonianze di abitanti del luogo – prese in prestito dal documentario del 1994 Totschweigen (A Wall of Silence) di Eduard Erne e Margareta Heinrich -, Amichai Greenberg mostra agli spettatori il difficile percorso psicologico del protagonista: un cammino impervio tanto per se stesso quanto per la ricerca di giustizia. Grazie a un registro che si avvicina molto a quello di un thriller, La testimonianza ha il pregio di catturare fino in fondo l’attenzione del pubblico, anche se, a causa di una sua eccessiva rigidità caratteriale, provare empatia con Yoel non sarà sempre semplice. Ma il nocciolo della questione del film non sta, come si potrebbe inizialmente credere, nella sacrosanta lotta al negazionismo, no, ma in qualcosa di forse più aberrante che sequenza dopo sequenza verrà svelato: la volontà di alcuni di seppellire il passato, pur riconoscendone gli errori, per lasciare spazio a meri interessi economici e a una futura generazione senza memoria.
Nelle sale dal 25 gennaio con Lab 80 Film, La testimonianza è un’opera d’esordio interessante, originale, complessa, asciutta e rigorosa. Un nuovo tassello, indispensabile come tutti gli altri, per impedire quel vuoto di memoria a cui ognuno ha il dovere di opporsi. E a tal proposito il suggerimento di Greenberg è molto chiaro: il ricordo e l’indagine sulla verità deve andare ben oltre l’identità religiosa o etnica d’appartenenza, perché d’identità ne esiste soltanto una... quella umana.