La teoria svedese dell’amore
Viviamo da soli, dietro a porte chiuse.
L’ambizione all’indipendenza ci ha accecati, ma che senso ha avere dei milioni in una banca ed essere infelici?
La nostra società punta alla sicurezza, non alla felicità.
1984, Brave New World, Gattaca, The Lobster, Equals...romanzi e film su universi distopici il cui scopo primario è farci riflettere su questa semplice quanto radicale verità: a cosa servono “benessere ed autonomia personale” se poi ci trovano completamente soli, morti da tre settimane...senza che nessuno intorno a noi se ne sia accorto?
Inquietante quanto attuale, il doloroso, algido, scandinavo interrogativo posto da La teoria svedese dell’amore di Erik Gandini.
Ciò che affascina e spaventa allo stesso tempo di questo pregevole nuovo progetto dell’autore di Videocracy è la precisione millimetrica di un sistema che non riesce a garantire la felicità visto che, non lo ricorderemo mai abbastanza, essa non è mai direttamente proporzionale all’organizzazione, al rigido equilibrio del sistema in cui si vive o gli italiani, ad esempio, dovrebbero essere tutti ben più cupi degli svedesi.
Ottima la scelta narrativa di usare gli immigrati siriani in Svezia come un vivente, pulsante termine di paragone tra l’algido paradigma svedese qui descritto ed una cultura distante anni luce come quella del Medio Oriente.
Ha davvero un senso, infatti, questo è il messaggio che sembra promanare da questo pregevole documentario, vivere in una società assistenzialista in cui lo stato si prende cura di tutto e dover pagare profumatamente...con qualcosa che è senza prezzo, con la propria felicità?
A conferma di ciò, a 00:51:57:11...la meraviglia: facciamo la conoscenza di un chirurgo, con un cognome talmente svedese da sembrare finto che, dopo 30 anni di carriera in Svezia, ha rinunciato al benessere controllato della madrepatria per vivere...in una remota regione dell’Etiopia, facendo il medico geniale (vedrete) in un ospedale da campo: “Il problema è che nessuno a casa, nel cosiddetto ‘Primo mondo’, crede che ci sia qualcosa da imparare dall’Africa. [...] Qui si vive nella povertà materiale, ma la povertà spirituale in Svezia è di gran lunga superiore”.
È proprio l’autore, Erik Gandini, a darci conferma delle sue intenzioni iniziali e degli assiomi che le guidano: “La Svezia è il paese più individualista del mondo ed è costruito per essere così, sembra quasi che il sistema dica: ‘Aiutamoci a liberarci gli uni dagli altri’ ma così si genera anche un forte senso di solitudine. Il mio film è volutamente provocatorio, la mia prospettiva si focalizza sulle ombre che esistono nel sistema. Mi piace mettere in discussione le idee più indiscutibili e questo modello di società in Svezia è assolutamente intoccabile. L’obiettivo del film è insinuare un dubbio: se l’ossessione per l’autosufficienza e il mito dell’autonomia dell’individuo si rivelassero essere una strada a fondo chiuso, in Svezia come negli altri paesi occidentali, Italia compresa? E io mi ritengo soddisfatto: ho fatto partire un dibattito che potrebbe portare a qualcosa di buono”.