La notte del giudizio - Election Year
Siamo al terzo capitolo della “purificazione”, anzi al 2.5 se consideriamo che La notte del giudizio e Anarchia – La notte del giudizio sono praticamente uno il reboot dell’altro, ciononostante la formula funziona ancora, grazie all’espansione dell’universo narrativo, nato come il microcosmo di uno strabile all’inizio (quasi una storia di zombie se vogliamo), per poi estendersi prima alla struttura cittadina con il suo maxi complotto e ora in scala nazionale con il tentativo di sovvertire l’ordine costituito.
In un’America al collasso i Nuovi Padri Fondatori avevano istituito la pratica della “purificazione”, la notte di “The Purge” in cui per 12 ore a tutti era consentito perpetrare qualsiasi crimine, come una valvola di sfogo per una società ormai troppo sotto pressione.
Una notte che nel tempo è divenuta, soprattutto nelle metropoli, una sorta di incubo.
Nel precedente capitolo, però, abbiamo scoperto come la “purificazione” sia stata usata dall’establishment per epurare i ceti più deboli e lasciare spazio vitale ai più abbienti, insomma una sorta di economia di scala tesa a mantenere il welfare per la classe dominante.
Ora la senatrice Charlie Roan ha deciso di cambiare le cose ed eliminare, se eletta, la pratica della purificazione, ma per farlo dovrà sopravvivere lei stessa alla notte della follia.
Se lo svolgimento di questo capitolo, per molti verisi, ricalca quello dei precedenti: un gruppo disperato in fuga da forze soverchianti in un clima di allucinata follia, quello che cambia radicalmente sono le motivazioni e la trama principale.
Viene dato molto più spazio alla politica di questa società di cui vediamo finalmente chi tira i fili. La notte di purificazione diventa qui funzionale al disegno più grande e non un mero “sopravvivi fino all’alba”.
Il gruppo dei protagonisti è particolarmente eterogeneo, come si confà a questo tipo i produzioni che, essendo entrate nel mainstream, devono sempre tener conto del politically correct. Quindi un nero, una redenta, un ispanico, una WASP e… l’eroe.
James DeMonaco scrive una sceneggiatura con molti spunti di riflessione, ma poi in fase di regia non affonda la lama.
Un’America con un Donald Trump che bussa alla Casa Bianca, non è lontanissima da quella del film, e allora perché non osare di più. Ci si limita a un “pistolotto” sulle armi da fuoco, una gomitatina alla lobby assicurativa… si poteva fare meglio.
Il film comunque funziona e intrattiene bene, se gli si perdonano un paio di ingenuità di sceneggiatura (tipo le ragazzette freak all’emporio) alla fine si esce soddisfatti. Chissà se lo avesse girato John Carpenter…