La mia vita con John F. Donovan

Una giornalista d’assalto, di solito impegnata nei report di tragiche storie di guerra e terzo mondo, si vede “costretta” da una serie di imprevisti a intervistare quello che lei ritiene uno scrittore da quattro soldi, giovane e borioso occidentale, ovvero il giovane attore Rupert Turner che ha di recente pubblicato un libro sulla singolare storia del suo carteggio (da bambino) con l’allora trentenne John F. Donovan (Kit Harington), celebre divo della televisione americana tragicamente scomparso dieci anni prima. Ma dopo un avvio difficoltoso, l’intervista prenderà tutta un’altra piega, rivelando davvero tanto di ogni singolo personaggio di questa storia, ma anche della vita in generale. Nel confronto tra presente e passato, tra John Donovan e Rupert Turner passa infatti tutta l’ampiezza di un messaggio profondo che include la ricerca finalizzata all’essere sé stessi, senza dover necessariamente calpestare il prossimo, e il coltivare sempre e comunque i rapporti tanto nella loro complessità quanto nella loro fragilità.

Lo stile è sapere chi sei

Debutto hollywoodiano per Xavier Dolan con un cast di prim’ordine (che include Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates), La mia vita con John F. Donovan è un film che ha subito numerose vicissitudini (inclusi tagli drastici in fase di montaggio), ed è stato oggetto di molteplici polemiche e critiche distruttive da parte della critica americana. Eppure, al netto dei suoi difetti e delle sue imperfezioni, La mia vita con John F. Donovan è opera che racchiude e riassume tutte le tematiche da sempre più care al giovanissimo e geniale regista canadese, anche se “diluite” in una confezione decisamente più “pop”, didascalica e sottilmente meno autoriale del solito.

Attraverso la finestra narrativa di un’intervista da fare e una storia di matrice semi-autobiografica che intreccia vicende di talenti inibiti e precocemente spezzati da raccontare, La mia vita con John F. Donovan affronta (ancora una volta) la scoperta (talvolta drammatica ma sempre rivoluzionaria) di sè stessi, e del proprio ruolo nel mondo, anche e soprattutto in relazione al rapporto con gli altri. In un film che è più narrativo e quindi non perfettamente nelle corde di Dolan, l’enfant prodige canadese trova e si ritaglia comunque gli spazi giusti per essere il regista che (sempre) è e vuole essere, tracciando  un parallelismo con il concetto sollevato anche dal film stesso: “lo stile è sapere chi sei”. Sempre stretto sui primi piani dei suoi protagonisti e infilato nel profondo dei loro sguardi e cuori, con scene che sono vere e proprie giravolte di vita (come la scena in discoteca, girata con la bellezza e la naturalezza del talento puro), e nella pregnanza di alcuni confronti sostanziali tra i personaggi “in gioco”, Dolan trova comunque la sua voce.

E in un film che di sicuro non resterà annoverato tra i suoi migliori, emerge comunque la voce di un talento registico più unico che raro, così come di un’esistenza attraversata da mille ombre ma anche da una brillante e sempre viva luce di senso. Il senso della vita e di quei rapporti (in primis con noi stessi e poi a cascata con quanti entrano – nel corso di una vita - in contatto con noi) che sono sempre materia fondante e motore delle nostre vite.