La Memoria dell'Acqua
Alcuni scienziati sostengono che l’acqua abbia la proprietà di mantenere un “ricordo” delle sostanze con cui è venuta in contatto. Patricio Guzman va ben oltre questa ipotesi e, nel suo documentario La Memoria dell’Acqua, spiega come i fiumi e gli oceani contengano la storia dell’intera umanità.
A distanza di cinque anni da Nostalgia della Luce, il regista cileno torna a esplorare il passato politico del suo Paese, e lo fa grazie all’allegoria e alla metafora, uniche forme accettabili sia per il governo che per buona parte del popolo cileno: riaprire ferite non ancora cicatrizzate in una dolorosa memoria collettiva non è cosa facile. In Cile, d’altronde, è tuttora vigente la Costituzione di Pinochet, gli omosessuali non hanno diritti e l’aborto è illegale…
La Memoria dell’Acqua è un viaggio poetico, potente, profondamente toccante, in cui si sottolinea la persistenza storica dell’odio verso la diversità, sia essa etnica, religiosa o ideologica. Nella prima parte del suo lavoro, Guzman sceglie un approccio antropologico per far conoscere al pubblico la Patagonia e lo sfortunato destino dei popoli che la abitarono. Grazie alle testimonianze degli ultimi discendenti degli indigeni del sud, il regista ricostruisce la loro vita sui fiumi, la loro magica cosmogonia, e la brutalità della colonizzazione che provocò il loro sterminio agli inizi del ventesimo secolo.
Nonostante La Memoria dell’Acqua abbia una struttura narrativa classica, il documentario si allontana dall’essere un’opera tradizionale. Guzman racconta infatti con voce fuori campo le sue riflessioni: pensieri profondi accompagnati da suoni e immagini sbalorditive. Lo scricchiolio dei ghiacciai, lo scrosciare delle cascate, il tintinnio della pioggia, il silenzio del cosmo, rappresentano la bellezza e la poesia della natura in netta contrapposizione con la crudeltà dell’uomo.
In maniera tanto geniale quanto sorprendente - ecco spiegato l’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura al 65esimo Festival di Berlino - a metà del racconto, come un’isola in mezzo agli abissi, emerge in tutta la sua drammaticità il tema agghiacciante della scomparsa forzata dei dissidenti politici sotto il regime della dittatura fascista. 1200 corpi incatenati a pezzi di rotaie vennero lanciati da aerei ed elicotteri nell’Oceano Pacifico: mare che diviene cimitero, acqua che nulla scorda.
Il linguaggio allusivo, metaforico e ostinatamente lirico di Guzman (il nome di Pinochet non viene mai pronunciato), crea una dicotomia dolorosamente necessaria tra l’occhio e la mente: idee che generano domande, immagini che confermano risposte.
Con la sua splendida opera il cineasta cileno dimostra che, parlare della memoria di un Paese in modo contemplativo e magico, è possibile. Alternando massacri a paesaggi da sogno, ingiustizie a suoni celestiali, ci conduce per mano in una narrazione che trascende dallo schermo: empatia in dosi massicce con eventi storici da non dimenticare.
L’essere umano va troppo spesso incontro ad amnesia: fortunatamente… l’acqua e Guzman, no.