La mano invisibile: quando l’alienazione del lavoro diviene spettacolo

Nel lontano 1961 Ermanno Olmi portò sul grande schermo Il Posto, amaro dramma neorealista sul triste mondo impiegatizio. Da allora, di film riguardanti il tema del lavoro scandagliato in ogni sua sfumatura, ne sono stati realizzati molti, ma nonostante questa inflazione cinematografica l’opera d’esordio dello spagnolo David Macián merita di ottenere dal pubblico grande attenzione. Grazie a una narrazione asciutta, diretta e priva di falsi moralismi, La mano Invisibile induce lo spettatore a riflettere sulla cupa direzione verso cui l’umanità sta velocemente scivolando, una traiettoria in picchiata alla volta della vana ricerca di dignità attraverso il lavoro: agghiacciante sistema produttivo che la dignità non sa neppure dove stia di casa.

In un capannone industriale 11 individui vengono scelti da una fantomatica azienda per aderire dietro compenso a un esperimento in cui viene loro chiesto di svolgere simultaneamente alcune attività lavorative davanti a un pubblico invisibile. Non v'è interazione tra i protagonisti, ciascuno dei quali è concentrato nel ripetere il proprio automatico gesto senza rendersi conto del passare dei giorni, sempre uguali uno dopo l’altro. Quando però dalle alte e misteriose sfere verrà loro intimato di aumentare la produttività, tra i partecipanti inizieranno a nascere i primi sintomi di una futura ribellione. Ma ribellarsi contro chi?

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Isaac Rosa, il lungometraggio del regista di Cartagena – in uscita nelle sale con Exit Med!a è una rigorosa e brillante denuncia del ‘demonio lavorativo’ che, tramite il suo lugubre carico di competitività, alienazione, rispetto delle regole e sfruttamento, schiaccia ogni uomo.

Adam Smith, celebre filosofo ed economista del XVIII secolo, nel suo trattato La ricchezza delle nazioni dipinse il mercato come una "mano invisibile" che, utilizzando gli egoismi e le avidità personali finalizzati a un bene comune, avrebbe condotto le società verso un equilibrato sviluppo economico. Fino ad oggi questo non è purtroppo avvenuto, e Macián mette in scena proprio il crudele gioco al massacro a cui giornalmente ognuno di noi è invece costretto a partecipare. Già, perché in questa sua sorta di reality show l’aberrazione della condizione umana raggiunge livelli altissimi: un muratore erige e poi distrugge un muro in mattoni senza soluzione di continuità; una sarta cuce dei reggiseni, li taglia, e li ricuce; un macellaio dilania la carcassa di un animale ricavandone morbide bistecche che getterà in un bidone dell’immondizia per poi riaffondare i suoi coltellacci nella carne di un’altra bestia; un’operaia assembla senza sosta oggetti metallici di cui non conosce la destinazione d’uso; un meccanico smonta e rimonta incessantemente il motore di un' automobile guasta. Dov'è dunque andata a finire la famosa frase “il lavoro nobilita l’uomo e lo rende libero”? Secondo il filmmaker iberico, quelle parole - come le bistecche del macellaio - sono finite nella spazzatura!

Non è accettabile che si continui a contemplare una così tragica situazione da lontano, è indispensabile intervenire: il messaggio lanciato da David Macián è potente, chiaro e necessario. Ma se noi, comuni mortali, decidessimo di insorgere… la mano di chi dovremmo mozzare?