La Hannah di Charlotte Rampling conquista la Coppa Volpi
La vita di Hannah era la normalissima vita di un’anziana donna, nonna felice, impegnata nel suo quotidiano, e affiancata dal marito. Il cane a cui badare, le lezioni di teatro, la piscina, le visite alla famiglia del figlio, al piccolo e adorato nipote Charlie. La vita tranquilla di una coppia di anziani scandita da quei piccoli gesti che sono scontati ma che potrebbero non esserlo più. Perchè ci sono momenti, accadimenti nella vita di ciascuno in grado di ribaltare per sempre e completamente lo stato di cose. Sprofondata lentamente in una nuova condizione di esilio dalla sua vita precedente, afflitta da una crescente depressione, Hannah (una bravissima Charlotte Rampling che porta a casa con questo film la Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione Femminile) sarà costretta a raccogliere tutte le proprie forze pur di far fronte allo stravolgimento della sua condizione.
L’ultimo film italiano in concorso a Venezia 74 è Hannah del regista nostrano (trentino per l’esattezza), ma da tempo ‘militante’ in America Andrea Pallaoro. Il suo film è uno scavo profondo nella dimensione di una solitudine crescente, nei meandri di situazioni/eventi in grado di scardinare totalmente la realtà che conoscevamo fino a poco prima. Film che si costruisce per tasselli, con un graduale sommarsi di elementi che portano la storia a rivelarsi poco a poco, Hannah punta tutto sull’interpretazione di interiorizzata sofferenza di una bravissima Charlotte Rampling, e sulla sorta di attesa generata dal fatto di non conoscere sin dall’inizio le dinamiche che danno vita al lento sprofondare di questa anziana donna. La perdita del ‘quotidiano’ viene infatti illustrata gradualmente e l’assenza di un ‘sorriso’ diventa il mezzo con cui comunicare la perdita di speranza definitiva, all’interno di una condizione di esilio forzato: dai propri affetti, dalle proprie abitudini, dalle proprie certezze. In un’opera che può sembrare a tratti estenuante, Pallaoro indica in realtà un percorso di ‘degrado’ interiore di indubbio interesse, con uno scavo psicologico che più che nelle parole trova espressione nei lunghi, drammatici silenzi. Fatta eccezione per le sessioni teatrali, infatti, Hannah è un film che in(segue) un mutismo esasperato, dove il concerto di silenzi (dalle prima scena in poi) porta avanti un senso di oppressione estremamente comunicativo, disperatamente esaustivo.
Novanta minuti di elaborazione del lutto di una nuova realtà, simile eppure completamente diversa a quella di prima, dove tutto è da rivedere, tutto è da riscrivere. Un’opera imperfetta ma con alcuni elementi di indubbio interesse.