La fuga: quel pomeriggio di un giorno da... Vanni!
Come pure l’unica scena di sesso presente nella circa ora e quindici di visione, i titoli di coda sono commentati dalla Odio e amore che, cantata dal regista stesso Stefano Calvagna, vanta un testo a firma di Roberto Vecchioni e musica a cura del Mauro Paoluzzi che si occupa anche della efficace colonna sonora. Mentre, senza perdere tempo, i titoli di testa accompagnano la corsa per le strade di Roma attuata da un fuggitivo ricercato dalle forze dell’ordine e che scopriamo presto manifestare i connotati di Claudio Vanni, reduce da una rapina con morto e destinato a rifugiarsi in casa di una escort incarnata da Sveva Cardinale, del tutto ignara del colpo appena messo in atto dall’uomo.
Un Claudio Vanni che delinea magnificamente la figura di uno psicopatico non privo, però, neppure di sfaccettature volte ad accattivarsi la simpatia (ma anche la tenerezza) dello spettatore, un po’ come fosse l’ottimo Kim Rossi Stuart di Cuore cattivo calato in una situazione a metà strada tra Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet e Una vita al massimo di Tony Scott.
Situazione che basta alla semplice sceneggiatura per potersi orchestrare tra la sensazione di assedio conferita dallo spazio chiuso dell’appartamento d’ambientazione e le ricerche portate avanti, all’esterno, dalla polizia, i cui esponenti possiedono i volti della cantante Mietta, di Fabrizio Sabatucci e del Daniele Trombetti proveniente dal chiacchieratissimo Lo chiamavano Jeeg robot di Gabriele Mainetti, come pure lo Stefano Ambrogi qui in vesti di commissario.
Senza contare l’agente dal grilletto facile interpretato proprio da Calvagna e che, insieme al questore cui concede anima e corpo Massimo Bonetti, completa il buon cast comprendente anche Lucia Batassa e Giuseppe Laudisa - coniugi nella vita reale come sullo schermo - impegnati ad enfatizzare due esilaranti anziani “romani de Roma”.
Perché, come avviene da sempre nei lavori dell’autore di E guardo il mondo da un oblò e Non escludo il ritorno, non è certo l’ironia a risultare assente; tanto più che, in questo caso, abbiamo addirittura una surreale ma tutt’altro che invadente parentesi con protagonista il rapper Simoncino.
E, se il lodevole lato tecnico non può fare a meno di spingerci ad elogiare la splendida fotografia di Daniele Nannuzzi e il coinvolgente montaggio del fido collaboratore calvagnano Roberto Siciliano, lo script de La fuga si rifiuta di affidarsi in maniera banale all’azione da scontro a fuoco e si concentra sullo sviluppo dei diversi personaggi privilegiando, al contrario, un taglio da dramma melò chiaramente corredato di attacco al malfunzionamento dell’Italia d’inizio terzo millennio.
A tal proposito, sarebbe sufficiente citare lo stupefacente monologo vanniano infarcito di denunce al sistema sanitario e a quello fiscale.